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L'epidemiologia (dal greco επι δημoσ λoγoσ = studio sul popolo) è una disciplina che ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi decenni. Essa si occupa dello studio delle malattie e dei fenomeni a queste connessi attraverso l'osservazione della distribuzione e dell'andamento delle malattie nella popolazione, allo scopo di individuare i fattori determinanti che ne possono indurre l'insorgenza e condizionare la diffusione.
Due misure largamente usate in epidemiologia sono la prevalenza e l'incidenza. La prevalenza è il rapporto tra il n° di casi accertati e la popolazione considerata in un determinato momento. É pertanto una "istantanea" della popolazione effettuata al momento del rilievo; può assumere valori compresi tra zero (nessun caso nella popolazione in quell'istante) ed 1 (tutti malati):
P = n° di casi presentati / popolazione totale
L'incidenza è una misura che considera, invece, il numero di nuovi eventi in una popolazione in un determinato periodo; è pari a:
I = n° di nuovi casi nel tempo (t1-t0 ) / n° di soggetti a rischio di sviluppare la malattia
Le due misure si adattano alla caratterizzazione di situazioni e problemi diversi. Calcolare la prevalenza è utile quando si vuole quantificare l'entità di una malattia o di un altro fenomeno in un determinato momento; l'incidenza è invece utilizzata per illustrare l'andamento nel tempo dei fenomeni epidemiologici. Bisogna valutare l'associazione, ovvero il grado di dipendenza statistica, tra i fattori di rischio e l'insorgenza di una malattia. I fattori di rischio sono attributi della persona, o elementi a cui la persona è esposta, che aumentano la probabilità di comparsa della malattia. Tale definizione include sia componenti ambientali (ad es. inquinamento atmosferico), sia ereditarie (ad es. anomalie cromosomiche) sia comportamentali ( ad es. il fumo).
Per ogni presunta associazione ritroveremo quattro categorie di soggetti, come risulta evidente dalla Tabella I:
Tabella I
Malato | Non malato | Totale | |
Esposto | a | b | a+b |
Non esposto | c | d | c+d |
Totale | a+c | b+d | a+b+c+d |
Il più semplice dato ricavabile è il Rischio Assoluto (RA) definito come il rapporto tra gli esposti al fattore di rischio che si sono ammalati e il totale degli esposti, cioè è pari all'incidenza della malattia tra gli esposti:
RA = a / (a+b)
Un altro indice è il Rischio Relativo (RR) pari al rapporto tra l'incidenza negli esposti e l'incidenza nei non esposti considerando il medesimo fattore di rischio:
RR = [a / (a + b)] / [c / (c + d)]
Tale rapporto, che costituisce una misura della forza dell'associazione tra fattore di rischio e malattia, risulta pari ad 1 se il fattore considerato non ha influenza nello sviluppo della malattia; è invece tanto più elevato quanto più il fattore di rischio ha un ruolo significativo nello sviluppo della stessa. Se il fattore in esame protegge il soggetto, allora l'RR deve essere < 1.
Occorre tener presente che i rapporti sopra definiti sono generalmente forniti con il relativo intervallo di confidenza, ovvero con il valore superiore ed inferiore entro cui sono comprese il 95% delle osservazioni (CI 95%). Tali rapporti devono inoltre poter essere considerati statisticamente significativi. Questo vuol dire che, dato a priori un certo livello di confidenza (ad esempio del 5%), si deve poter asserire che il dato in questione ha una elevata probabilità (con l'assegnato livello di confidenza) di non essere dovuto a fattori casuali. Ad esempio, nel caso in cui RR < 1, se il dato è statisticamente significativo, vale a dire con alta probabilità non dovuto al caso, possiamo concludere di avere l'indicazione di un effetto protettivo dalla malattia.
Una stima dell'RR può essere ottenuta nel caso in cui si stia considerando una malattia rara (ovvero b"a+b, d"c+d) calcolando l'ODDS Ratio (OR):
OR = (a / b) / (c / d)
OR=1 indica l'assenza di associazione tra esposizione ad un determinato agente ed insorgenza della malattia
OR > 1 indica l'esistenza di una associazione positiva tra esposizione ed insorgenza della malattia. L'agente oggetto di indagine può causare la malattia. Valori crescenti di OR indicano associazioni più forti
OR < 1 indica una associazione negativa; l'agente oggetto di indagine potenzialmente funge da fattore antagonista nei confronti della patologia specifica. A volte però valori di OR inferiori all'unità indicano bias a livello statistico
Lo scopo di molti studi epidemiologici analitici è quello di provare l'eventuale associazione tra una determinata condizione o malattia ed uno ( o più) fattori di rischio.
Tipologie di studio epidemiologico
I principali metodi di indagine epidemiologica si basano su:
Gli studi descrittivi semplici si basano sull'utilizzo di dati già esistenti (ISTAT, censimenti, ecc.); negli studi osservazionali il ricercatore utilizza dati ricavati da anamnesi, esami di laboratorio o interviste ma non interferisce con trattamenti o eliminazione dei fattori di rischio; tali studi si differenziano da quelli descrittivi semplici perché generalmente non si basano sull'intera popolazione ma su un sottogruppo o campione di essa. Negli studi sperimentali il ricercatore, invece, compie interventi diretti, manipola cioè le condizioni della ricerca applicando strategie terapeutiche o preventive a due o più gruppi di soggetti.
I più utilizzati sono gli studi osservazionali, tra questi lo studio a caso-controllo e lo studio a coorte.
Studio Caso-controllo
Si tratta di una rilevazione retrospettiva di dati ricavati da due gruppi di individui: i casi ed i controlli. I casi sono costituiti da un gruppo di soggetti malati o affetti da particolari condizioni; i controlli sono un gruppo di soggetti con caratteristiche simili a quelle dei casi, che differiscono da questi ultimi solo per il fatto di non essere malati.
Per la scelta dei casi si fa riferimento a tutti i soggetti colpiti dalla malattia considerata in un particolare sottogruppo di popolazione, oppure in un campione rappresentativo di essa. La scelta dei controlli viene effettuata o seguendo il criterio dell'appaiamento (per ogni caso si prende un soggetto con caratteristiche
simili: età, sesso, lavoro, condizione sociale, luogo di residenza, ecc.), o, più in generale, scegliendo un gruppo quanto più omogeneo possibile a quello da cui provengono i casi.
Vantaggi:
Svantaggi:
Studio di coorte
Negli studi di coorte (così definiti in riferimento alle coorti romane i cui componenti non venivano mai rimpiazzati qualora morti o dispersi) uno o più gruppi di soggetti vengono seguiti nel tempo per valutare l'azione di un sospetto fattore di rischio. Sono eseguite verifiche periodiche per un lasso di tempo tale da permettere la valutazione dell'incidenza della malattia, sia negli esposti che nei non esposti.
Vantaggi:
Svantaggi:
Gli studi in vitro su singola cellula o su colture cellulari rappresentano il primo step nelle indagini riguardanti gli effetti di un determinato agente sulla salute umana.
Vengono utilizzati in modo massiccio per indagini di tipo tossicologico, dal momento che sono in grado di fornire informazioni essenziali riguardo agli effetti di agenti chimici o fisici sulle singole proprietà cellulari.
Attraverso studi in vitro è anche possibile verificare se una sostanza è in grado di alterare il patrimonio genetico risultando quindi mutagena e potenzialmente in grado di provocare l'insorgenza di neoplasia conseguente alla esposizione diretta.
Per quanto riguarda nello specifico i campi elettromagnetici studi in vitro sono stati condotti per indagare su eventuali effetti di natura genotossica, cancerogenica o co cancerogenica.
Gli studi in vitro inoltre permettono di identificare e capire i meccanismi che stanno alla base della interazione tra campi elettromagnetici e tessuti biologici, anche se, comportamenti anomali della singola cellula o del gruppo di cellule isolate dall'organismo non permettono la completa estrapolazione dei risultati ottenuti in vitro all'organismo in toto.
Si può quindi affernare che gli studi in vitro non rappresentano una alternativa agli studi in vivo, ma sono ad essi complementari.
Gli studi in vivo possono essere effettuati su animali da laboratorio, oppure sull'uomo.
Gli studi in vivo su animali possono fornire informazioni tipo qualitativo su potenziali effetti della esposizione ad un determinato agente chimico o fisico senza però fornire spiegazioni sui meccanismi alla base dell'effetto stesso. Tale informazione viene invece fornita dagli studi in vitro che devono pertanto essere portati avanti contestualmente.
In molti esperimenti, specie nel campo della fisiologia e della patologia, l'animale sostituisce l'uomo: idealmente le conoscenze che derivano da esperimenti effettuati su animali, ad esempio roditori, potrebbero essere estrapolate all'uomo, soprattutto in ambito tossicologico e nello studio della cancerogenesi.
C'è infatti una buona correlazione (84%) tra agenti che causano tumori nell'uomo e agenti che causano tumori nei roditori: ad esempio, la maggioranza dei fattori chimici che causano leucemia nell'uomo, provocano insorgenza della patologia anche nei roditori.
I meccanismi nell'uomo e nella maggior parte dei roditori seguono la stessa via metabolica e le stesse modalità di riparazione cellulare, ed è sufficiente, grazie a modelli matematici sempre più dettagliati, rapportare le dosi alla dimensione dell'uomo.
Occorre però in questo ambito, tenere sempre in considerazione le differenze interspecie, infatti, sebbene molti tumori presentino caratteristiche simili nell'uomo e negli animali da laboratorio, è comunque necessario estrapolare i dati in modo corretto e contestualizzarli all'uomo.
Per quanto riguarda nello specifico le indagini relative ai campi elettromagnetici, soprattutto per quanto concerne i campi a radiofrequenza, occorre effettuare, oltre alla contestualizzazione, anche complesse valutazioni di tipo dosimetrico.
Il SAR infatti, che rappresenta la quantità dosimetrica di riferimento per quanto riguarda l'esposizione ai campi a radiofrequenza, presenta un massimo ad una frequenza specifica chiamata frequenza di risonanza; tale parametro è legato alle dimensioni del corpo.
Pertanto, per alcune specifiche frequenze, può verificarsi che, a parità di potenza incidente, il SAR e quindi l'esposizione, sia maggione nei piccoli animali (topo, ratto, coniglio) che nell'uomo.
Studi epidemiologici possono essere effettuati anche sull'uomo, sulla base di reclutamento volontario ed adesione di soggetti singoli a progetti di ricerca sperimentale.