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Parere della scienza

 

Questa sezione del sito è dedicata a chi desidera avere infomazioni di elevato livello scientifico sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute umana, ma anche sullo stato di avanzamento della ricerca scientifica e sui pareri ufficiali degli organismi internazionali.

 

Viene anche trattato il tema dell'utilizzo dei campi elettromagnetici in medicina ed in diagnostica attraverso una serie di brevi articoli introduttivi.

Infine, un ultima sezione, è dedicata alla segnalazione di articoli di interesse pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali.

 


 

Mobile phone emission increases inter-hemispheric functional coupling of electroencephalographic alpha rhythms in epileptic patients

F. Vecchio, M. Tombini, P. Buffo, G. Assenza, G. Pellegrino, A. Benvenga, C. Babiloni, P.M. Rossini


I campi elettromagnetici prodotti dai telefoni cellulari tendono ad interessare maggiormente la zona della testa rispetto alle altre aree del corpo; di conseguenza, nel corso degli anni, sono stati condotti numerosi studi riguardanti le eventuali variazioni dell’attività cerebrale sia durante che in seguito all’esposizione ai campi a radiofrequenza prodotti da cellulari.

 

In particolare, alcuni recenti studi hanno messo in evidenza che una prolungata esposizione ai campi elettromagnetici con modulazione GSM potrebbe essere in grado di indurre variazioni nella coerenza del segnale a 8 e 12 Hz (le cosiddette onde alpha, prodotte dal cervello negli stati di rilassamento ad occhi chiusi e massima concentrazione e caratterizzate da elevata sincronizzazione ) rilevato tra il lobo frontale e quello temporale. (Vecchio 2007).

 

Questo effetto è stato riscontrato sia nell’elettroencefalogramma di soggetti giovani e sani, sia, e con maggior evidenza in pazienti più anziani e potrebbe manifestarsi in modo ancora più drammatico in soggetti già caratterizzati da anormali meccanismi di sincronizzazione cortico-neurale, quali i pazienti epilettici, nei quali si ipotizza una risposta di maggior sensibilità ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.

 

L’epilessia infatti è una condizione neurologica, cronica o transitoria, caratterizzata da eventi parossistici (crisi) causati dalla scarica improvvisa, eccessiva e rapida, di una popolazione più o meno estesa di neuroni che fanno parte della sostanza grigia dell'encefalo. 

 

Al fine di verificare tale ipotesi, 10 pazienti affetti da epilessia sono stati esposti a campi elettromagnetici a frequenza 900 MHz con modulazione GSM per 45 minuti e sottoposti ad elettroencefalogramma ad occhi chiusi (EEG), registrato sia in condizioni di esposizione reale che fittizia. Questi dati sono stati poi comparati con quelli relativi ai soggetti sani degli studi precedenti, utilizzati in questo caso come controlli.

 

Il telefono cellulare è stato posizionato in corrispondenza del lato sinistro della testa, ad una distanza di 1.5 cm dall’orecchio sia per i pazienti che per i controlli.

 

Tramite lettura dei segnali rilevati dall’EEG a livello di aree frontali, centrali, parietali e temporali è stata valutata la sincronizzazione inter-emisferica per le seguenti bande di frequenza: delta (2-4 Hz), teta (4-6 Hz), alfa1 (6-8 Hz), alfa2 (8 -10 Hz), e alfa3 (10-12 Hz), sia nei soggetti affetti dalla patologia che nei controlli.

 

 Rispetto ai controlli, i pazienti affetti da epilessia hanno mostrato maggiori variazioni a livello di onde alfa (8-12 Hz) durante l’esposizione reale e non in quella fittizia. Questo risultato suggerisce che i campi prodotti dai telefoni cellulari potrebbero agire provocando una maggiore coerenza tra onde alfa a livello di lobo frontale e temporale, alterando la sincronizzazione interemisferica del ritmo alfa probabilmente tramite una sincronizzazione neuronale attraverso il corpo calloso.

 

Il meccanismo alla base di tutto questo potrebbe risiedere in una interazione tra il segnale GSM e l’attività oscillatoria dei circuiti corticali, questi effetti sarebbero mediati dalle connessioni funzionali inter emisferiche temporali, tra cui il corpo calloso che si trovano in prossimità del terminale mobile da cui ha origine il segnale GSM.

 

Si tratta del primo caso di visualizzazione di questa serie di effetti nell’uomo e questi risultati, se confermati in futuro, potrebbero avere interessanti implicazioni cliniche sul fronte delle patologie cognitive e motorie.


Pubblicato su: International Journal of Psychophysiology, Volume 84, 164 - 171, 2012


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ECG Changes in Factory workers exposed to 27.2 MHz radiofrequency radiation

Qingsong Chen, Guoyong Xu , Li Lang,AichuYang,Shilin Li,LiwenYang, Chaolin Li,Hanlin Huang and Tao Li


Gli effetti dei campi elettromagnetici a radiofrequenza sul sistema nervoso e sull’apparato cardiovascolare, sono stati a lungo studiati in quanto è noto che il sistema cardiovascolare, ed in particolar modo il muscolo cardiaco sono estremamente sensibili alle correnti esogene prodotte dalla presenza di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ed anche da campi statici.

 

Gli studi, i cui risultati sono equivoci e non conclusivi, hanno indagato per lo più su variazioni indotte della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e su alterazioni generiche del tracciato elettrocardiografico, non riconducibili ad effetti di natura termica, che sono stati invece riscontrati ma che consistono unicamente in reazioni fisiologiche legate all’aumento della temperatura ambientale per effetto della presenza di una sorgente di campo a radiofrequenza.

 

Allo studio caso controllo in oggetto hanno partecipato 255 donne di età compresa tra 18 e 48 anni (età media 24 anni) impiegate presso una azienda produttrice di scarpe con il compito di saldare materiali plastici tramite macchine funzionanti con campi elettromagnetici a frequenza 27.2 MHz.

 

Ai 255 casi sono stati accoppiati 100 controlli, costituiti da soggetti nella stessa fascia di età, impiegati nella stessa azienda ma non presso macchinari che utilizzano i campi a radiofrequenza.

 

I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: non esposti, esposti da meno di 2 anni ed esposti di lunga data. Il livello medio di campo elettrico misurato sui 6 minuti nelle postazioni lavorative in condizioni operative è risultato pari a 64 V/m con picchi fino a 106 V/m; si tratta di valori che superano, in taluni casi anche abbondantemente, i livelli di riferimento indicati nelle Linee Guida ICNIRP per campi con frequenza compresa nel range 10-400 MHz (61 V/m).

I soggetti esposti rimangono ancorati alla postazione lavorativa assegnata loro per 8 ore al giorno, 6 giorni a settimana.

Nella analisi statistica sono stati presi in considerazione molteplici parametri per ciascun soggetto quali: l’età, la storia lavorativa (inclusi gli orari dei turni), l’anamnesi, la presenza o meno di patologie ereditarie note, l’abitudine al fumo ed al consumo di alcoolici.

 

Per ciascun soggetto coinvolto nello studio è stato registrato l’elettrocardiogramma nel corso della attività lavorativa e l’analisi specifica è stata fatta per i seguenti parametri:

 

  • Frequenza del battito cardiaco (HR)
  • Durata del complesso QRS
  • Durata dell’onda PR
  • Durata del tratto QT
  • Caratteristiche dell’onda Q e dell’onda T

 

Una prima analisi dei dati, effettuata non considerando i fattori confondenti, ha messo in evidenza un maggior numero di anomalie nel tracciato dell’elettrocardiogramma delle lavoratrici esposte ai campi a radiofrequenza rispetto ai controlli. Si tratta per la maggior parte dei casi di aritmie (battito irregolare), bradicardie (battito troppo lento) e tachicardie (battito troppo rapido).

 

Il rischio per gli esposti cronici (esposizione superiore ai 2 anni) sembra essere maggiore (OR=3.12 - 95% CI 0.83 – 11.80 per le aritmie, OR= 5.71 – 95% CI 0.73 – 44.46 per la brachicardia) rispetto a quello relativo agli esposti da meno di due anni e ai non esposti; tuttavia, quando è stata effettuata una seconda analisi tenendo conto dell’età dei soggetti, le differenze riscontrate hanno perso il loro significato statistico, tanto da portare i ricercatori ad affermare che la durata della esposizione ai campi a radiofrequenza oggetto di indagine non costituisce un fattore determinante nelle variazioni di tracciato riferibili ad aritmie e bradicardie. Lo stesso risultato lo si è avuto considerando gli stili di vita. L’unico fattore determinante emerso sembra essere l’età del soggetto, andamento confermato da tutta la letteratura scientifica cardiologica.

 

Dalla analisi specifica dei parametri caratteristici del tracciato elettrocardiografico (durata del complesso QRS, durata del QT) non sono emerse differenze sostanziali tra il gruppo esposto ed i controlli.

In pratica, dopo aver analizzato gli elettrocardiogrammi dei partecipanti allo studio (casi e controlli) ed aver preso in considerazione tutti i fattori confondenti possibili, tra cui età, abitudine al fumo, agli alcoolici, sindromi ereditarie, la conclusione a cui sono giunti i ricercatori è che l’esposizione cronica per motivi professionali a campi elettromagnetici a 27.2 MHz non causa alterazioni del tracciato dell’elettrocardiogramma.

Con questo verrebbe a cadere l’ipotesi, accreditata da molti autori, che l’esposizione a campi a radiofrequenza abbia un effetto sulle fibre parasimpatiche eccito secretrici ed eccito motrici del nervo vago traducibili in variazioni rilevanti a carico del tracciato elettrico del cuore.

 

 Glossario:

 

Complesso QRS: Il complesso QRS riproduce la diffusione dello stimolo elettrico attraverso la muscolatura ventricolare. Rappresenta la registrazione elettrica di superficie della depolarizzazione del ventricolo sinistro.

 

Onda PR: indica il tempo necessario all'impulso elettrico per raggiungere il punto nel quale inizia l'attivazione ventricolare

 

Tratto QT: rappresenta il tempo necessario alle cellule cardiache ventricolari per depolarizzarsi e ripolarizzarsi


Onda P: corrisponde alla depolarizzazione degli atrii

 

Onda T: rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli.

  

Pubblicato su: Bioelectromagnetics Febbraio 2013


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InVitro Effects of Low Frequency Electromagnetic Fields on Osteoblast Proliferation and Maturation in an Inflammatory Environment

 

Hsin -Yi Lin, Yu -Jen Lin

 

È noto da tempo in letteratura che l’esposizione delle cellule ossee o dei precursori di queste ultime a campi pulsati a bassa frequenza (dell’ordine dei 60-75 Hz) produce una alterazione dei livelli di calcio intracellulare avente come risultato una variazione dell’attività dell’enzima ossido nitrico sintasi riassumibile in un aumento della sintesi di una specie reattiva dell’ossigeno, l’ossido nitrico (NO) all’interno delle cellule stesse.

La presenza di ossido nitrico nelle cellule delle ossa è strettamente associata alla proliferazione e alla differenziazione e gli osteoblasti stessi, se stimolati con campi pulsati a bassa frequenza o con citochine, sono in grado di sintetizzare NO.

 

Una moderata sintesi di ossido nitrico negli osteoblasti è necessaria per il mantenimento del corretto ritmo di crescita; si tratta però di un fenomeno caratterizzato da un livello di soglia oltre il quale la sintesi di ossido nitrico diventa inibitoria e potenzialmente tossica per le cellule delle ossa.

 

Il processo sopra descritto, nei limiti dettati dalle soglie di tossicità dell’ossido nitrico, può trovare applicazione in campo clinico per stimolare la riparazione di piccole fratture ossee.

 

In dettaglio, durante il processo di ricostruzione ossea, i precursori delle cellule ossee prima proliferano, poi maturano e infine depositano i minerali.

La fase di proliferazione degli osteoblasti è caratterizzata da un’elevata espressione dei geni della matrice extracellulare; quando le cellule entrano nella fase di maturazione, la proliferazione diminuisce e aumenta l’espressione di proteine deputate alla formazione della matrice stessa quali il collagene di tipo I (COL I) e la fosfatasi alcalina (ALP).

L’ultimo passaggio, infine, include la mineralizzazione della matrice extracellulare ed è caratterizzato dalla presenza di proteine specifiche quali l’osteocalcina (OC).

 

La capacità dei campi pulsati a bassa frequenza di promuovere la proliferazione, la maturazione e la mineralizzazione degli osteoblasti rende possibile uno sfruttamento della loro applicazione nel favorire i processi di riparazione di piccole fratture (inferiori ad un cm).

 

Per quanto riguarda invece la riparazione di fratture superiori ad 1cm, i campi pulsati da soli non sono sufficienti, in questi casi occorre agire in sincronia con l’impianto di particolari impalcature (scaffolds) ingegnerizzate che vengono posizionate chirurgicamente all’interno delle fessure con lo scopo di indurre la crescita del tessuto osseo.

 

L’incisione chirurgica e la presenza dell’impianto possono però provocare infiammazioni acute e talvolta anche croniche e durante il processo infiammatorio, i macrofagi possono rilasciare specie reattive dell’ossigeno (ROS) tra cui anche NO, che, sommandosi a quello prodotto dall’applicazione del campo pulsato, determina un superamento della soglia ed un conseguente ritardo nel processo di ricostruzione ossea.

 

Va infatti ricordato che una moderata densità (< 20 µM) di ossido nitrico è in grado di stimolare il processo di ricrescita, mentre alte concentrazioni di NO (> 40 µM) inibiscono la ricostruzione ossea e riducono il numero di osteoclasti.

Gli scaffod utilizzati in supporto alla applicazione di campi pulsati a bassa frequenza sono realizzati in chitosano, un materiale poroso, biocompatibile e osteoinduttivo.

Tuttavia, come affermato in precedenza, l’inserzione in situ di un corpo esterno, quale uno scaffold è spesso causa di infiammazione che può ritardare o compromettere la riparazione ossea.

Alla luce di questo, lo scopo dello studio presentato consiste in una verifica della capacità di stimolazione della ricostruzione ossea da parte dei campi pulsati in presenza di infiammazione.

 

Per creare in vitro condizioni il più possibile simili a quelle fisiologiche riscontrabili in caso di inserzione di uno scaffold in situ, gli osteoblasti sono stati messi in coltura direttamente su uno scaffold di chitosano insieme a macrofagi stimolati a rilasciare ROS.

La coltura così ottenuta è stata poi esposta per 9 ore a campi magnetici pulsati a frequenza 75 Hz, induzione magnetica pari a 1.5 mT e durata dell’impulso pari a 1.3 ms.

 

Successivamente gli osteoblasti sono stati analizzati per proliferazione, attività della fosfatasi alcalina (ALP), vitalità ed espressione genica del collagene di tipo I (COL I) e dell’osteocalcina (OC); tali parametri sono stati esaminati sia subito dopo l’esposizione sia 7 giorni dopo (giorni 0 e 7). La coltura che non è stata esposta ai campi è stata utilizzata come controllo.

 

Al giorno 7, nella coltura cellulare esposta ai campi pulsati è stata rilevata una maggior quantità di NO (65 µM) rispetto ai controlli (17 µM). Malgrado la concentrazione di NO, già a livelli citotossici, gli osteoblasti esposti ai campi hanno comunque mostrato una maggiore proliferazione cellulare (23%), vitalità (36%) ed espressione di COL I (3-4 volte in più) rispetto ai controlli.

 

Gli osteoblasti esposti hanno inoltre evidenziato una riduzione del 41% nell’attività dell’ALP, associata ad una anticipazione dello stadio di inizio di formazione della matrice, confermata dall’aumento della espressione di COL I.

Al contrario, l’espressione di OC non è stata rilevata né nei controlli né nei gruppi esposti ai campi, e ciò è probabilmente dovuto al fatto che nel giorno 7 le cellule non sono ancora entrate nella fase specifica di mineralizzazione.

 

Lo studio proposto ha quindi messo in evidenza che, anche in presenza di fenomeni infiammatori, l’esposizione a campi magnetici pulsati a frequenza 75 Hz può portare ad un aumento della proliferazione e della vitalità degli osteoblasti, ad un maggior rilascio di NO e ad un aumento della espressione del collagene, tutti fenomeni legati ad una avvenuta stimolazione nella produzione della matrice e quindi nella riparazione di fratture anche di grandi dimensioni.

 

I risultati descritti sono stati ottenuti in colture in vitro, ulteriori studi si rendono necessari per affermare con maggior certezza che i campi pulsati a bassa frequenza, applicati in situ sulla frattura, siano in grado, in associazione a scaffold ingegnerizzati in chitosano, di coadiuvare la riparazione del tessuto osseo anche per grandi fratture ed in presenza di infiammazioni.



 

Pubblicato su: Bioelectromagnetics 32:552 - 560 (2011)

 


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