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Effetti dei campi a radiofrequenza sugli occhi


Gli effetti della esposizione dell'occhio a campi a radiofrequenza sono stati indagati in vivo su animali a partire dall'inizio degli anni '60. Le prime indagini riguardanti soprattutto danni a carico del cristallino, dei tessuti oculari e della retina sono state effettuate su conigli, in periodi successivi la tendenza è stata quella di utilizzare i primati che presentano una struttura del cranio e dell'occhio in genere molto simile all'uomo.

 

 L'occhio per la sua particolare anatomia risulta particolarmente sensibile alle variazioni in temperatura, tessuti come il cristallino infatti, essendo scarsamente vascolarizzati, non hanno la possibilità di dissipare il calore in eccesso attraverso lo scambio con i tessuti circostanti.

 

Le indagini hanno stabilito con chiarezza che un'esposizione di circa 30 minuti dell'occhio di un coniglio ad una densità di potenza incidente superiore a 100 mW/m2 è in grado di indurre opacizzazione della lente (cataratta) che compare dopo un periodo di latenza di alcuni giorni. Gli studiosi concordano che alla base dell'induzione di cataratta in seguito ad esposizione a campi elettromagnetici a radio frequenza vi sia un meccanismo di tipo termico anche se, sembra probabile che il solo aumento della temperatura al disopra di una soglia posta sui 41° non sia un fattore sufficiente, ma che si renda necessario anche un elevato gradiente termico locale (variazione improvvisa della temperatura in un intorno di dimensioni limitate ed in un tempo estremamente ristretto).

 

Struttura occhio

 

Effetti di opacizzazione della lente sono stati riscontrati in conigli sottoposti per periodi superiori alle due ore a campi con frequenza variabile da 1 a 10 GHz e SAR locali estremamente elevati (100-140 W/kg); in questi casi la temperatura interna dell'occhio in toto può raggiungere i 41-43°C.

Altri studi, effettuati sempre su conigli, finalizzati all'individuazione di effetti derivanti da una esposizione cronica a corpo intero non hanno riportato nessuna anomalia a livello di cristallino per campi a frequenza 2.45 GHz per valori di SAR (a corpo intero) fino a 5.5. W/kg.

 

Altre indagini effettuate sottoponendo un occhio dei conigli a campi a radiofrequenza (2.45 GHz e SAR locale pari a 26 W/kg) ed utilizzando l'altro occhio non esposto come controllo hanno messo in evidenza effetti transienti riconducibili a edema della cornea e della congiuntiva, contrazione e congestione della pupilla e fibrinogenesi nella camera anteriore della cornea; tali fenomeni sono risultati più evidenti sugli animali la cui esposizione è avvenuta in condizioni di anestesia totale. Gli attesi fenomeni di induzione di cataratta non sono invece stati osservati sia negli animali vigili che nei gruppi anestetizzati.

 

Altre indagini effettuate su animali vigili ed anestetizzati, con SAR localizzati all'occhio estremamente elevati (108 W/kg) hanno confermato gli effetti transienti elencati sopra. Tali effetti tendono a scomparire nel giro di una settimana. Anche in questi casi gli animali anestetizzati hanno mostrato una sensibilità maggiore alla esposizione oculare dovuta ad un maggiore aumento della temperatura dell'umor vitreo nella camera posteriore e dell'umor acqueo nella camera anteriore del bulbo oculare causata da una riduzione del flusso di sangue come effetto dell'anestesia.

 

Gli studi successivi sono stati effettuati per lo più su primati, sottoponendo in modo cronico gruppi di scimmie rhesus a campi ad onda continua (2.45 GHz) o pulsata (9.3 GHz) con SAR localizzato alla testa pari a 40 W/kg. Il controllo oculistico, effettuato nei primi quattro giorni successivi al termine della esposizione, non ha rilevato effetti a carico del cristallino, della cornea o della retina. La discrepanza nei risultati trovati sui primati rispetto a quanto evidenziato sui conigli viene imputata a differenze strutturali nell'occhio e nella forma del cranio che portano ad assorbimenti di potenza più moderati e minor surriscaldamento a carico del cristallino nei primati.

 

Indagini specifiche sugli effetti dei campi a 900 MHz emessi dai telefoni cellulari sono stati fatti esponendo colonie di ratti. Gli autori del lavoro riportano una serie di effetti a carico della lente e della cornea ma, l'assenza di una precisa dosimetria e la descrizione sommaria dei protocolli utilizzati rendono i risultati di difficile interpretazione.

 

I gruppi di ricerca hanno indagato inoltre su eventuali effetti lesivi e degenerativi imputabili alla esposizione dell'occhio a campi elettromagnetici a radiofrequenza e microonde.

Lesioni transienti a carico dell'endotelio della cornea sono state rilevate in primati esposti a campi pulsati e ad onda continua a frequenza 2.45 GHz e SAR locale pari a 2.6 W/kg. Tali lesioni, più evidenti negli animali esposti a campi ad onda continua, raggiungevano la massima gravità da 16 a 24 ore dopo l'esposizione e persistevano per alcuni giorni.

Indagini istopatologiche effettuate tre settimane successivamente all'esposizione hanno mostrato una degenerazione dei fotorecettori, confermata da una minore sensibilità della retina rilevata dal tracciato elettroretinografico.

Lo stesso studio, in fase di replica, non ha messo in evidenza le lesioni a livello di cristallino, cornea e lenti, confermando però la degenerazione dei fotorecettori che presentava caratteristiche di maggior severità negli animali anestetizzati a causa della ridotta dissipazione di calore da parte dell'occhio come effetto diretto della anestesia.

 

Altri studi portati avanti esponendo in modo cronico primati a campi pulsati a frequenza 1.25 GHz e SAR localizzato alla retina variabile tra 4.3, 8.4 e 20.2 W/kg non hanno a loro volta confermato le osservazioni riguardo alle lesioni sopra descritte. Sono state condotte indagini sulla integrità della retina, compresa la visualizzazione del fondo dell'occhio, l'angiografia, l'elettroretinografia precedente e successiva alla esposizione ed una analisi istopatologica completa della retina al termine dell'esperimento. Sia la valutazione del fondo dell'occhio che l'angiografia non hanno messo in evidenza alterazioni macroscopiche. L'elettroretinografia ha invece mostrato un aumento nella risposta da parte dei coni (fotorecettori responsabili della visione diurna) ai flash luminosi per i due livelli più elevati di SAR.

Gli studiosi sono d'accordo nel classificare questo effetto come espressione di un cambiamento fisiologico transiente. L'esame istopatologico ha confermato l'assenza di alterazioni sostanziali.

 

Conclusioni

 

Il cristallino dell'occhio e l'occhio in generale, a causa della scarsa vascolarizzazione presenta una capacità estremamente limitata di dissipare calore; questo lo rende più sensibile ad effetti di surriscaldamento eventualmente indotti attraverso esposizione a campi a radiofrequenza.

La cataratta indotta da esposizione a campi a radiofrequenza è un fenomeno di natura termica ben noto. Nei conigli è stato riscontrato per SAR locali pari a 100-140 W/kg, che corrispondono ad un aumento della temperatura interna dell'occhio fino a 43°C.

I valori di SAR indicati sono di gran lunga superiori rispetto ai limiti riportati nelle normative.

I primati, così come l'uomo, risultano meno sensibili dei conigli per quanto riguarda l'induzione di cataratta, infatti, gli esperimenti effettuati sulle scimmie non hanno messo in evidenza opacizzazioni, sia per esposizioni acute che per esposizioni croniche.

L'occhio anestetizzato, a causa della sua ridotta capacità di dissipare calore, risulta essere più sensibile ad eventuali effetti della esposizione.

Uno studio, effettuato su primati sottoposti ad anestesia ha indicato lesioni a livello della cornea e vascolare; questi risultati però non sono stati confermati da altri gruppi che hanno condotto lo stesso esperimento. Piccoli cambiamenti nel tracciato elettroretinografico sono stati osservati in seguito ad esposizioni a campi RF ad elevato SAR ma, il significato di quanto osservato non è chiaro a livello funzionale.

 

Bibliografia

 

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[8] WHO. Environmental Health Criteria 137. Electromagnetic fields (300 Hz-300 GHz). Geneva, World Health Organization; 1993.

 

Glossario

 

Congiuntiva: mucosa trasparente che riveste il bulbo oculare e la superficie interna delle palpebre con la funzione di proteggere soprattutto la cornea.

 

Cornea: porzione anteriore sporgente e trasparente dell'occhio la cui funzione è quella di permettere il passaggio della luce verso le strutture interne, facendo convergere i raggi luminosi verso la retina.

 

Endotelio: Tessuto di rivestimento di vasi od organi, con varie funzionalità specifiche.

 

Fibrinogenesi: processo di formazione della fibrina che è una proteina utilizzata nella coagulazione del sangue.

 

Fotorecettori: neuroni specializzati localizzati sulla retina che captano le radiazioni luminose. I fotorecettori sono di due tipi: coni e bastoncelli. I coni, concentrati nella zona centrale della retina, sono deputati alla visione dei colori; i bastoncelli, invece, sono concentrati nella zona periferica della retina e sono impiegati per la visione al buio.

 

Pupilla: orifizio posto nella parte centrale dell'occhio che controlla la quantità di luce che penetra all'interno del bulbo oculare. Le sue dimensioni sono regolate, in base all'intensità luminosa ambientale, da una serie di muscoli controllati dal sistema neurovegetativo

 

Retina: membrana sottile localizzata nella parte più interna dell'occhio e deputata alla ricezione degli stimoli luminosi e alla loro trasformazione in segnali nervosi che verranno successivamente inviati al cervello.

 

Umor acqueo: liquido salino che riempie la camera anteriore e quella posteriore dell'occhio, contribuendo al volume del bulbo oculare. Si forma per diffusione dai capillari delle cellule ciliate riversandosi inizialmente nella camera posteriore e da qui, attraverso il foro pupillare, passa successivamente nella camera anteriore.

 

Umor vitreo: massa gelatinosa, trasparente e incolore localizzata nella camera vitrea, che costituisce circa i 4/5 del bulbo oculare. Le principali funzioni dell'umor vitreo sono il sostegno e la protezione del bulbo oculare oltre alla facilitazione del passaggio della luce.

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