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Leucemie infantili e campi a bassa frequenza

 

Per leucemie si intendono tumori del sangue e del midollo osseo. Il quadro clinico della leucemia è dovuto essenzialmente all'invasione del midollo da parte di un clone neoplastico con conseguente distruzione delle cellule emopoietiche normali.

 

A seconda della linea cellulare verso cui evolve il clone leucemico si parla di leucemia mieloblastica (ML) o leucemia linfoblastica (LL). All'interno di queste due suddivisioni occorre fare un'ulteriore distinzione basata sul decorso della malattia: si distinguono così le leucemie acute e quelle croniche.

La leucemia rappresenta la forma tumorale riscontrabile più di frequente nei bambini, circa un terzo dei tumori infantili sono leucemie, di queste un 75% è costituito da leucemie linfocitiche acute (ALL) ed il rimanente 25% da forme mieloidi acute (AML).

 

L'incidenza, fortemente variabile a seconda della regione del mondo di residenza e della etnia è in media di 3 casi su 100.000 bambini. Le motivazioni a spiegazione di questa variazione della incidenza della malattia sulla base della residenzialità e delle etnia sono molteplici e nessuna trova i ricercatori completamente d'accordo. Alcuni sostengono che si tratti unicamente di differenze legate alle modalità di diagnosi e ad eventuali mancate registrazioni della malattia, altri ritengono che determinati gruppi etnici siano più predisposti all'insorgenza della malattia, altri infine sostengono che fattori ambientali non ancora chiari oppure un elevato stato socioeconomico possano predisporre i bambini nati nei paesi più sviluppati ad un maggior rischio di contrarre la leucemia.

 

L'evidenza su cui invece tutti i ricercatori sono d'accordo è che la malattia abbia un'incidenza più o meno elevata a seconda dell'età del bambino. Il numero delle diagnosi infatti è elevato nei primi due anni di vita, raggiunge il picco attorno ai 2-3 anni, per poi decrescere molto lentamente fino ai 10 anni e infine stabilizzarsi entro i 15.

 

Da un punto di vista eziologico, la leucemia è il risultato di una alterazione a livello cromosomico e di una successiva mutazione che altera il normale processo di differenziazione delle cellule linfoidi e mieloidi. Il meccanismo di fondo che da inizio al processo di danno molecolare responsabile della eventuale insorgenza della malattia può essere ereditato al concepimento, verificarsi durante lo sviluppo fetale, oppure durante l'infanzia ma con molta probabilità si tratta di un effetto dovuto ad accumulo di danni genetici che avviene con il passare del tempo.

Sia la leucemia mieloide acuta che la linfocitica acuta sono per lo più caratterizzate da alterazioni genetiche tra cui variazioni nel numero di cromosomi, traslocazioni cromosomiche, chimere (inclusione in un organismo di materiale genetico proveniente da un altro organismo) o fusione di geni; riarrangiamenti che con elevata probabilità si verificano in utero nel periodo prenatale e possono essere presenti nell'individuo senza necessariamente portare ad alcuna patologia; il passaggio dalle condizioni caratterizzanti allo sviluppo vero e proprio della malattia è un evento raro.

 

Questo ha portato i ricercatori a pensare che lo sviluppo della malattia sia un fenomeno a più passaggi con un primo step a livello prenatale seguito da un evento innescante che può verificarsi in utero o durante l'infanzia. Per quanto riguarda l'alterazione genetica che rappresenta il primo evento, l'inizio in utero è ritenuta l'ipotesi più comune, per il secondo evento, che si verifica solo in casi rari, ci sono diverse ipotesi che rendono l'eziologia della malattia ancora poco chiara.

 

I fattori che vengono accreditati di avere un ruolo come secondo step nello svilippo della leucemia infantile sono:

a) esposizione a radiazioni ionizzanti;

b) esposizione ad agenti chimici quali, solventi, pesticidi, fumo di tabacco;

c) agenti virali o infettivi;

d) migrazione di etnie e popolazioni che può aver portato le singole razze in contatto con vettori infettivi nuovi dall'incontro con i quali sono scaturite reazioni particolari, anche se rare.

 

Tutte queste ipotesi assieme sono però in grado di fornire una spiegazione clinica soltanto al 10% delle leucemie, per il resto l'eziologia e l'origine della malattia restano ignote.

 

Esistono notevoli controversie sulla possibilità di una debole associazione tra esposizione a campi magnetici a 50-60 Hz in ambiente residenziale e rischio di leucemia infantile, sebbene non sia chiaro se tale associazione sia causale.

I primi studi su questa specifica tematica sono iniziati negli anni '50 ed erano perlopiù volti ad indagare il rischio di leucemie e tumori cerebrali nei bambini che abitavano nei pressi di linee elettriche. Il calcolo della esposizione veniva fatto sulla base della distanza della abitazione dalla linea elettrica, della configurazione della linea, o mediante calcoli numerici dell'induzione magnetica all'interno della casa o della stanza in cui il bambino soggiornava più di frequente nel periodo antecedente la diagnosi. Le misurazioni, ove previste, erano sempre di breve durata e, non in tutti i casi si teneva conto del carico sulla linea.

 

Tutti questi studi sono stati analizzati in modo aggregato: su 13 indagini di questa tipologia, tutte tranne cinque, hanno riportato un aumento del rischio. Il fattore caratteristico emerso da questa prima meta analisi è il consistente aumento di rischio riscontrato negli studi effettuati partendo da una stima indiretta della esposizione attraverso valutazioni basate sulla distanza abitazione/elettrodotto o calcoli numerici: Questo aumento del rischio non è invece stato evidenziato negli studi in cui la valutazione delle esposizione veniva fatta attraverso misure strumentali estemporanee.

 

Questo risultato sembrerebbe indicare una minore affidabilità dello strumento "misura" in una valutazione della esposizione pregressa dei bambini, oppure potrebbe essere un sintomo di distorsioni presenti negli studi effettuati sulla base della distanza.

 

Negli anni '90 sono stati portati avanti studi in cui la valutazione della esposizione era effettuata attraverso misure della durata di 24 o 48 ore, in modo tale da tenere conto dei carichi di corrente passanti entro le linee che presentano andamenti variabili nel corso della giornata, oppure attraverso complessi modelli teorici.

Nella analisi comparata di 9 studi le esposizioni sono state categorizzate nel modo seguente:


  •  categoria di riferimento: B < 0.1 μT
  •  B compreso tra 0.1 μT e 0.2 μT
  •  B compreso tra 0.2 μT e 0.4 μT
  •  B > 0.4 μT


Mentre per gli esposti a meno di 0.4 μT gli autori hanno determinato un valore di rischio vicino all'unità (che significa mancanza di associazione), per i 44 casi di leucemia e i 62 controlli esposti a livelli di induzione magnetica superiori a 0.4 μT, il rischio relativo stimato è risultato pari a 2 (CI 95%: 1.27-3.13). Gli scienziati sono concordi nell'affermare che questo aumento del rischio non sia dovuto a fluttuazioni statistiche.

Altre analisi effettuate includendo anche gli studi nei quali la valutazione della esposizione avveniva attraverso calcoli basati sulla distanza della abitazione di residenza dall'elettrodotto hanno messo in evidenza un aumento del rischio per i soggetti esposti a livelli di induzione magnetica superiori a 0.3 μT (CI 95%: 1.23 – 2.31).

Anche in questo caso gli autori hanno concluso che le analisi indicano una qualche associazione tra campi magnetici a frequenza di rete e leucemie infantili ma i dati non sono sicuramente sufficienti per capire le possibili sorgenti di questa associazione, cioè se essa rifletta un reale effetto dei campi magnetici o sia imputabile ad altre cause, quali possibili fattori di confondimento non tenuti in sufficiente considerazione (tra questi fattori si possono includere: lo stato socio economico, la mobilità residenziale, i contatti con virus e i livelli di inquinamento atmosferico dovuti, ad esempio al traffico), o a distorsioni nella selezione dei casi e dei controlli o più semplicemente ad un bias di pubblicazione, ossia la tendenza a pubblicare soltanto i risultati positivi. Questo tipo di bias può inficiare in modo massiccio i risultati delle meta analisi.

 

La ricerca sulle eventuali associazioni tra esposizione a campi magnetici alle frequenze di rete ed incidenza di ALL e AML nei bambini è proseguita anche in anni più recenti.

Uno studio giapponese pubblicato nel 2006 ha confermato un aumento del rischio per esposizione a livelli di induzione magnetica uguali o superiori a 0.4 μT (OR 2.63 CI: 95% 0.77 – 8.96). Lo studio, basato su 251 casi (con 495 controlli ) di leucemia linfoblastica acuta e 61 casi (con 108 controlli) di leucemia mieloide acuta, è partito da una valutazione della esposizione effettuata sulla base di misure spot condotte nella stanza del bambino ed in vari angoli della casa, seguiti da una intera settimana di monitoraggio del campo magnetico nella stanza del bambino. A questo si è aggiunta una misura della distanza in linea d'aria tra la casa e l'elettrodotto, ed uno studio completo della residenzialità del bambino, dal concepimento fino alla data della diagnosi. I risultati trovati sono compatibili con quanto emerso dai metastudi effettuati alla fine degli anni '90 e sopra citati.

Nel 2005 in Inghilterra è stato portato avanti uno studio finalizzato ad indagare l'andamento del rischio di leucemia infantile in funzione della distanza dell'abitazione dall'elettrodotto. Sono state selezionate 9700 coppie caso controllo, scelte sulla base del codice di avviamento postale della residenza; l'esposizione è stata calcolata sulla base della distanza della casa di residenza da tutti gli elettrodotti presenti nel raggio di un km.

Lo studio ha messo in evidenza un aumento del rischio in funzione della distanza dall'elettrodotto più vicino, sono però necessari altri dati, tra cui il livello dell'induzione magnetica nelle abitazioni per poter rendere lo studio ed i suoi risultati pienamente conclusivi.

 

Le associazioni osservate tra esposizione a campi con induzione magnetica dell'ordine dei 0.3-0.4 μT ed insorgenza di leucemie infantili possono essere dovute a casualità, errori nella selezione dei casi e dei controlli, errori di classificazione, fattori di confondimento vari, oppure essere l'espressione di una vera e propria relazione causale.

Una risposta a questo potrebbe venire dallo studio dei meccanismi alla base della eventuale associazione tra esposizione a campo magnetico a 50-60 Hz ed insorgenza di queste gravissime patologie.

 

Al momento non esiste un meccanismo biofisico in grado di spiegare completamente il passaggio evolutivo che lega l'esposizione all'insorgenza della malattia.

Alcuni autori, basandosi su principi fisici e semplici modelli biologici, sono giunti all'ipotesi che 0.4 μT sia un livello di induzione magnetica non in grado di provocare interazioni e reazioni a livello biofisico all'interno delle cellule e dei tessuti. I meccanismi ipotizzati riguardano per lo più induzione di forze magnetiche anomale, produzione di radicali liberi, ed interazioni di tipo "risonante".

Altre ipotesi coinvolgono le correnti elettriche che, attraversando il corpo, in seguito ad un contatto diretto del soggetto con un conduttore, potrebbero essere in grado di creare danni a livello di midollo osseo. Essendo il midollo osseo presente in maggior quantità negli arti dei bambini, questo potrebbe fornire una spiegazione alla maggior insorgenza di leucemia nei bambini piuttosto che negli adulti.

 

Altre ipotesi ancora coinvolgono la secrezione notturna della melatonina da parte della ghiandola pineale che viene diminuita come effetto della esposizione ai campi ELF. Nessuna di queste ipotesi però ha avuto un riscontro a livello sperimentale.

 

Inoltre gli studi effettuati su animali non hanno confermato le associazioni trovate sull'uomo. Per anni topi e ratti sono stati infatti esposti a livelli di induzione magnetica molto elevati (fino a migliaia di microtesla), ordini di grandezza superiori rispetto all'ordine di frazioni di microtesla che gli studi epidemiologici hanno messo in relazione con la leucemia infantile, senza trovare evidenze convincenti di cancerogenicità.

 

Conclusioni


Le ricerche fin qui effettuate hanno suggerito che possa esserci una debole associazione tra esposizione ai campi magnetici a 50-60 Hz presenti in ambiente residenziale ed insorgenza di leucemia mieloide acuta e leucemia linfoblastica acuta nei bambini. Analisi aggregate dei dati di ricerca indicano che potrebbe esistere un eccesso di rischio per esposizioni a livelli medi di induzione magnetica al disopra di 0.3-0.4 μT, anche se gli autori stessi dei lavori rimarcano che i valori riportati non possono essere interpretati come l'indicazione di una relazione causa effetto. Gli studi fin qui condotti non sono stati in grado di chiarire se tale associazione sia causale o se sia frutto di una combinazione di distorsioni di selezione, di un certo grado di confondimento e di casualità.

I meccanismi alla base dell'induzione della malattia come effetto della esposizione cronica a campi magnetici a bassa frequenza sono tutt'altro che noti, così come non sono pienamente chiare le motivazioni per cui la malattia dovrebbe presentarsi come effetto della esposizione solo nei bambini.

Gli studi su animali, principalmente su ratti e roditori, non hanno evidenziato nessuna associazione positiva tra esposizione a livelli di induzione ampiamente superiori a quelli imputati di provocare le condizioni che portano alla malattia nell'uomo ed insorgenza della patologia. Va però sottolineato in questo caso che a tutt'oggi non esiste nessun modello animale adeguato per la forma più comune di leucemia infantile, cioè la leucemia linfoblastica acuta.

Per quanto riguarda i campi elettrici, l'evidenza che questi ultimi siano associabili ad insorgenza di leucemia infantile è inadeguata, anche se il numero di studi è relativamente ristretto.

Sulla base di questi risultati la IARC ha espresso la seguente valutazione dei campi a bassa frequenza:

 

  •  Vi è una evidenza limitata nell'uomo di cancerogenicità dei campi magnetici a frequenze estremamente basse, in relazione alla leucemia infantile
  •  Vi è una evidenza inadeguata nell'uomo di cancerogenicità dei campi magnetici a frequenze estremamente basse, in relazione a tutte le altre forme tumorali
  •  Vi è una evidenza inadeguata nell'uomo di cancerogenicità dei campi elettrici o magnetici statici e dei campi elettrici a bassa frequenza
  •  Vi è una evidenza inadeguata negli animali da sperimentazione di cancerogenicità dei campi magnetici a frequenza estremamente bassa.
  •  Non sono disponibili dati pertinenti alla cancerogenicità, in animali da laboratorio, dei campi elettrici o magnetici statici e dei campi elettrici a frequenze estremamente basse.

 

Sulla base quindi dei soli risultati relativi alla leucemia infantile i campi magnetici a frequenza estremamente bassa sono stati classificati come possibilmente cancerogeni (Gruppo 2B). Il gruppo 2B rappresenta la forma più blanda di classificazione degli agenti in base alla cancerogenicità.

 

Bibliografia

 

[1] Ahlbom A, Day N, Feychting M, Roman E, Skinner J, Dockerty J, Linet M, McBride M, Michaelis J, Olsen J H, Tynes T, Verkasalo PK. A pooled analysis of magnetic fields and childhood leukaemia. Br J Cancer 83:692-8; 2000.

 

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[4] Henshaw DL, Reiter RJ (2005). Do magnetic fields cause increased risk of childhood leukemia via melatonin disruption? Bioelectromagnetics, 26(Suppl. 7):S86-S97.

 

[5] Kabuto M et al. (2006). Childhood leukemia and magnetic fields in Japan: a case-control study of childhood leukemia and residential power-frequency magnetic fields in Japan. Int J Cancer, 119(3):643-650.

 

[6] Kavet R (2005). Contact current hypothesis: summary of results to date. Bioelectromagnetics, 26(Suppl 7):S75-S85.

 

[7] Organizzazione Mondiale della Sanità – Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro – Monografie IARC sulla valutazione dei Rischi Cancerogeni per l'Uomo – Volume 80. Radiazioni non ionizzanti parte 1: Campi elettrici e magnetici statici e a frequenze estremamente basse

 

[8] World Health Organization (WHO). Environmental Health Criteria 238. Extremely Low Frequency (ELF) Fields. Geneva: World Health Organization; 2007a.

 

 

Glossario

 

Cellule linfoidi: cellula del sangue derivante da una progenitrice staminale linfoide. Sono cellule linfoidi i linfociti T, i linfociti B e le cellule NK

 

Cellule mieloidi: cellula del sangue derivante da una progenitrice staminale mieloide. Sono cellule mieloidi i monociti,,i granulociti neutrofili, basofili ed eosinofili, gli, eritrociti (globuli rossi),i megacariociti (precursori delle piastrine), le, cellule dendritiche

 

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