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InVitro Effects of Low Frequency Electromagnetic Fields on Osteoblast Proliferation and Maturation in an Inflammatory Environment

 

Hsin -Yi Lin, Yu -Jen Lin

 

È noto da tempo in letteratura che l’esposizione delle cellule ossee o dei precursori di queste ultime a campi pulsati a bassa frequenza (dell’ordine dei 60-75 Hz) produce una alterazione dei livelli di calcio intracellulare avente come risultato una variazione dell’attività dell’enzima ossido nitrico sintasi riassumibile in un aumento della sintesi di una specie reattiva dell’ossigeno, l’ossido nitrico (NO) all’interno delle cellule stesse.

La presenza di ossido nitrico nelle cellule delle ossa è strettamente associata alla proliferazione e alla differenziazione e gli osteoblasti stessi, se stimolati con campi pulsati a bassa frequenza o con citochine, sono in grado di sintetizzare NO.

 

Una moderata sintesi di ossido nitrico negli osteoblasti è necessaria per il mantenimento del corretto ritmo di crescita; si tratta però di un fenomeno caratterizzato da un livello di soglia oltre il quale la sintesi di ossido nitrico diventa inibitoria e potenzialmente tossica per le cellule delle ossa.

 

Il processo sopra descritto, nei limiti dettati dalle soglie di tossicità dell’ossido nitrico, può trovare applicazione in campo clinico per stimolare la riparazione di piccole fratture ossee.

 

In dettaglio, durante il processo di ricostruzione ossea, i precursori delle cellule ossee prima proliferano, poi maturano e infine depositano i minerali.

La fase di proliferazione degli osteoblasti è caratterizzata da un’elevata espressione dei geni della matrice extracellulare; quando le cellule entrano nella fase di maturazione, la proliferazione diminuisce e aumenta l’espressione di proteine deputate alla formazione della matrice stessa quali il collagene di tipo I (COL I) e la fosfatasi alcalina (ALP).

L’ultimo passaggio, infine, include la mineralizzazione della matrice extracellulare ed è caratterizzato dalla presenza di proteine specifiche quali l’osteocalcina (OC).

 

La capacità dei campi pulsati a bassa frequenza di promuovere la proliferazione, la maturazione e la mineralizzazione degli osteoblasti rende possibile uno sfruttamento della loro applicazione nel favorire i processi di riparazione di piccole fratture (inferiori ad un cm).

 

Per quanto riguarda invece la riparazione di fratture superiori ad 1cm, i campi pulsati da soli non sono sufficienti, in questi casi occorre agire in sincronia con l’impianto di particolari impalcature (scaffolds) ingegnerizzate che vengono posizionate chirurgicamente all’interno delle fessure con lo scopo di indurre la crescita del tessuto osseo.

 

L’incisione chirurgica e la presenza dell’impianto possono però provocare infiammazioni acute e talvolta anche croniche e durante il processo infiammatorio, i macrofagi possono rilasciare specie reattive dell’ossigeno (ROS) tra cui anche NO, che, sommandosi a quello prodotto dall’applicazione del campo pulsato, determina un superamento della soglia ed un conseguente ritardo nel processo di ricostruzione ossea.

 

Va infatti ricordato che una moderata densità (< 20 µM) di ossido nitrico è in grado di stimolare il processo di ricrescita, mentre alte concentrazioni di NO (> 40 µM) inibiscono la ricostruzione ossea e riducono il numero di osteoclasti.

Gli scaffod utilizzati in supporto alla applicazione di campi pulsati a bassa frequenza sono realizzati in chitosano, un materiale poroso, biocompatibile e osteoinduttivo.

Tuttavia, come affermato in precedenza, l’inserzione in situ di un corpo esterno, quale uno scaffold è spesso causa di infiammazione che può ritardare o compromettere la riparazione ossea.

Alla luce di questo, lo scopo dello studio presentato consiste in una verifica della capacità di stimolazione della ricostruzione ossea da parte dei campi pulsati in presenza di infiammazione.

 

Per creare in vitro condizioni il più possibile simili a quelle fisiologiche riscontrabili in caso di inserzione di uno scaffold in situ, gli osteoblasti sono stati messi in coltura direttamente su uno scaffold di chitosano insieme a macrofagi stimolati a rilasciare ROS.

La coltura così ottenuta è stata poi esposta per 9 ore a campi magnetici pulsati a frequenza 75 Hz, induzione magnetica pari a 1.5 mT e durata dell’impulso pari a 1.3 ms.

 

Successivamente gli osteoblasti sono stati analizzati per proliferazione, attività della fosfatasi alcalina (ALP), vitalità ed espressione genica del collagene di tipo I (COL I) e dell’osteocalcina (OC); tali parametri sono stati esaminati sia subito dopo l’esposizione sia 7 giorni dopo (giorni 0 e 7). La coltura che non è stata esposta ai campi è stata utilizzata come controllo.

 

Al giorno 7, nella coltura cellulare esposta ai campi pulsati è stata rilevata una maggior quantità di NO (65 µM) rispetto ai controlli (17 µM). Malgrado la concentrazione di NO, già a livelli citotossici, gli osteoblasti esposti ai campi hanno comunque mostrato una maggiore proliferazione cellulare (23%), vitalità (36%) ed espressione di COL I (3-4 volte in più) rispetto ai controlli.

 

Gli osteoblasti esposti hanno inoltre evidenziato una riduzione del 41% nell’attività dell’ALP, associata ad una anticipazione dello stadio di inizio di formazione della matrice, confermata dall’aumento della espressione di COL I.

Al contrario, l’espressione di OC non è stata rilevata né nei controlli né nei gruppi esposti ai campi, e ciò è probabilmente dovuto al fatto che nel giorno 7 le cellule non sono ancora entrate nella fase specifica di mineralizzazione.

 

Lo studio proposto ha quindi messo in evidenza che, anche in presenza di fenomeni infiammatori, l’esposizione a campi magnetici pulsati a frequenza 75 Hz può portare ad un aumento della proliferazione e della vitalità degli osteoblasti, ad un maggior rilascio di NO e ad un aumento della espressione del collagene, tutti fenomeni legati ad una avvenuta stimolazione nella produzione della matrice e quindi nella riparazione di fratture anche di grandi dimensioni.

 

I risultati descritti sono stati ottenuti in colture in vitro, ulteriori studi si rendono necessari per affermare con maggior certezza che i campi pulsati a bassa frequenza, applicati in situ sulla frattura, siano in grado, in associazione a scaffold ingegnerizzati in chitosano, di coadiuvare la riparazione del tessuto osseo anche per grandi fratture ed in presenza di infiammazioni.



 

Pubblicato su: Bioelectromagnetics 32:552 - 560 (2011)

 


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Mobile phone emission increases inter-hemispheric functional coupling of electroencephalographic alpha rhythms in epileptic patients

F. Vecchio, M. Tombini, P. Buffo, G. Assenza, G. Pellegrino, A. Benvenga, C. Babiloni, P.M. Rossini


I campi elettromagnetici prodotti dai telefoni cellulari tendono ad interessare maggiormente la zona della testa rispetto alle altre aree del corpo; di conseguenza, nel corso degli anni, sono stati condotti numerosi studi riguardanti le eventuali variazioni dell’attività cerebrale sia durante che in seguito all’esposizione ai campi a radiofrequenza prodotti da cellulari.

 

In particolare, alcuni recenti studi hanno messo in evidenza che una prolungata esposizione ai campi elettromagnetici con modulazione GSM potrebbe essere in grado di indurre variazioni nella coerenza del segnale a 8 e 12 Hz (le cosiddette onde alpha, prodotte dal cervello negli stati di rilassamento ad occhi chiusi e massima concentrazione e caratterizzate da elevata sincronizzazione ) rilevato tra il lobo frontale e quello temporale. (Vecchio 2007).

 

Questo effetto è stato riscontrato sia nell’elettroencefalogramma di soggetti giovani e sani, sia, e con maggior evidenza in pazienti più anziani e potrebbe manifestarsi in modo ancora più drammatico in soggetti già caratterizzati da anormali meccanismi di sincronizzazione cortico-neurale, quali i pazienti epilettici, nei quali si ipotizza una risposta di maggior sensibilità ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.

 

L’epilessia infatti è una condizione neurologica, cronica o transitoria, caratterizzata da eventi parossistici (crisi) causati dalla scarica improvvisa, eccessiva e rapida, di una popolazione più o meno estesa di neuroni che fanno parte della sostanza grigia dell'encefalo. 

 

Al fine di verificare tale ipotesi, 10 pazienti affetti da epilessia sono stati esposti a campi elettromagnetici a frequenza 900 MHz con modulazione GSM per 45 minuti e sottoposti ad elettroencefalogramma ad occhi chiusi (EEG), registrato sia in condizioni di esposizione reale che fittizia. Questi dati sono stati poi comparati con quelli relativi ai soggetti sani degli studi precedenti, utilizzati in questo caso come controlli.

 

Il telefono cellulare è stato posizionato in corrispondenza del lato sinistro della testa, ad una distanza di 1.5 cm dall’orecchio sia per i pazienti che per i controlli.

 

Tramite lettura dei segnali rilevati dall’EEG a livello di aree frontali, centrali, parietali e temporali è stata valutata la sincronizzazione inter-emisferica per le seguenti bande di frequenza: delta (2-4 Hz), teta (4-6 Hz), alfa1 (6-8 Hz), alfa2 (8 -10 Hz), e alfa3 (10-12 Hz), sia nei soggetti affetti dalla patologia che nei controlli.

 

 Rispetto ai controlli, i pazienti affetti da epilessia hanno mostrato maggiori variazioni a livello di onde alfa (8-12 Hz) durante l’esposizione reale e non in quella fittizia. Questo risultato suggerisce che i campi prodotti dai telefoni cellulari potrebbero agire provocando una maggiore coerenza tra onde alfa a livello di lobo frontale e temporale, alterando la sincronizzazione interemisferica del ritmo alfa probabilmente tramite una sincronizzazione neuronale attraverso il corpo calloso.

 

Il meccanismo alla base di tutto questo potrebbe risiedere in una interazione tra il segnale GSM e l’attività oscillatoria dei circuiti corticali, questi effetti sarebbero mediati dalle connessioni funzionali inter emisferiche temporali, tra cui il corpo calloso che si trovano in prossimità del terminale mobile da cui ha origine il segnale GSM.

 

Si tratta del primo caso di visualizzazione di questa serie di effetti nell’uomo e questi risultati, se confermati in futuro, potrebbero avere interessanti implicazioni cliniche sul fronte delle patologie cognitive e motorie.


Pubblicato su: International Journal of Psychophysiology, Volume 84, 164 - 171, 2012


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ECG Changes in Factory workers exposed to 27.2 MHz radiofrequency radiation

Qingsong Chen, Guoyong Xu , Li Lang,AichuYang,Shilin Li,LiwenYang, Chaolin Li,Hanlin Huang and Tao Li


Gli effetti dei campi elettromagnetici a radiofrequenza sul sistema nervoso e sull’apparato cardiovascolare, sono stati a lungo studiati in quanto è noto che il sistema cardiovascolare, ed in particolar modo il muscolo cardiaco sono estremamente sensibili alle correnti esogene prodotte dalla presenza di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ed anche da campi statici.

 

Gli studi, i cui risultati sono equivoci e non conclusivi, hanno indagato per lo più su variazioni indotte della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e su alterazioni generiche del tracciato elettrocardiografico, non riconducibili ad effetti di natura termica, che sono stati invece riscontrati ma che consistono unicamente in reazioni fisiologiche legate all’aumento della temperatura ambientale per effetto della presenza di una sorgente di campo a radiofrequenza.

 

Allo studio caso controllo in oggetto hanno partecipato 255 donne di età compresa tra 18 e 48 anni (età media 24 anni) impiegate presso una azienda produttrice di scarpe con il compito di saldare materiali plastici tramite macchine funzionanti con campi elettromagnetici a frequenza 27.2 MHz.

 

Ai 255 casi sono stati accoppiati 100 controlli, costituiti da soggetti nella stessa fascia di età, impiegati nella stessa azienda ma non presso macchinari che utilizzano i campi a radiofrequenza.

 

I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi: non esposti, esposti da meno di 2 anni ed esposti di lunga data. Il livello medio di campo elettrico misurato sui 6 minuti nelle postazioni lavorative in condizioni operative è risultato pari a 64 V/m con picchi fino a 106 V/m; si tratta di valori che superano, in taluni casi anche abbondantemente, i livelli di riferimento indicati nelle Linee Guida ICNIRP per campi con frequenza compresa nel range 10-400 MHz (61 V/m).

I soggetti esposti rimangono ancorati alla postazione lavorativa assegnata loro per 8 ore al giorno, 6 giorni a settimana.

Nella analisi statistica sono stati presi in considerazione molteplici parametri per ciascun soggetto quali: l’età, la storia lavorativa (inclusi gli orari dei turni), l’anamnesi, la presenza o meno di patologie ereditarie note, l’abitudine al fumo ed al consumo di alcoolici.

 

Per ciascun soggetto coinvolto nello studio è stato registrato l’elettrocardiogramma nel corso della attività lavorativa e l’analisi specifica è stata fatta per i seguenti parametri:

 

  • Frequenza del battito cardiaco (HR)
  • Durata del complesso QRS
  • Durata dell’onda PR
  • Durata del tratto QT
  • Caratteristiche dell’onda Q e dell’onda T

 

Una prima analisi dei dati, effettuata non considerando i fattori confondenti, ha messo in evidenza un maggior numero di anomalie nel tracciato dell’elettrocardiogramma delle lavoratrici esposte ai campi a radiofrequenza rispetto ai controlli. Si tratta per la maggior parte dei casi di aritmie (battito irregolare), bradicardie (battito troppo lento) e tachicardie (battito troppo rapido).

 

Il rischio per gli esposti cronici (esposizione superiore ai 2 anni) sembra essere maggiore (OR=3.12 - 95% CI 0.83 – 11.80 per le aritmie, OR= 5.71 – 95% CI 0.73 – 44.46 per la brachicardia) rispetto a quello relativo agli esposti da meno di due anni e ai non esposti; tuttavia, quando è stata effettuata una seconda analisi tenendo conto dell’età dei soggetti, le differenze riscontrate hanno perso il loro significato statistico, tanto da portare i ricercatori ad affermare che la durata della esposizione ai campi a radiofrequenza oggetto di indagine non costituisce un fattore determinante nelle variazioni di tracciato riferibili ad aritmie e bradicardie. Lo stesso risultato lo si è avuto considerando gli stili di vita. L’unico fattore determinante emerso sembra essere l’età del soggetto, andamento confermato da tutta la letteratura scientifica cardiologica.

 

Dalla analisi specifica dei parametri caratteristici del tracciato elettrocardiografico (durata del complesso QRS, durata del QT) non sono emerse differenze sostanziali tra il gruppo esposto ed i controlli.

In pratica, dopo aver analizzato gli elettrocardiogrammi dei partecipanti allo studio (casi e controlli) ed aver preso in considerazione tutti i fattori confondenti possibili, tra cui età, abitudine al fumo, agli alcoolici, sindromi ereditarie, la conclusione a cui sono giunti i ricercatori è che l’esposizione cronica per motivi professionali a campi elettromagnetici a 27.2 MHz non causa alterazioni del tracciato dell’elettrocardiogramma.

Con questo verrebbe a cadere l’ipotesi, accreditata da molti autori, che l’esposizione a campi a radiofrequenza abbia un effetto sulle fibre parasimpatiche eccito secretrici ed eccito motrici del nervo vago traducibili in variazioni rilevanti a carico del tracciato elettrico del cuore.

 

 Glossario:

 

Complesso QRS: Il complesso QRS riproduce la diffusione dello stimolo elettrico attraverso la muscolatura ventricolare. Rappresenta la registrazione elettrica di superficie della depolarizzazione del ventricolo sinistro.

 

Onda PR: indica il tempo necessario all'impulso elettrico per raggiungere il punto nel quale inizia l'attivazione ventricolare

 

Tratto QT: rappresenta il tempo necessario alle cellule cardiache ventricolari per depolarizzarsi e ripolarizzarsi


Onda P: corrisponde alla depolarizzazione degli atrii

 

Onda T: rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli.

  

Pubblicato su: Bioelectromagnetics Febbraio 2013


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Impact of cell phone use on men's semen parameters


T. Gutschim B. Mohamad Al-Ali, R. Shamloul, K. Pummer, H. Trummer


Uno studio retrospettivo condotto da ricercatori canadesi ed austriaci è stato portato avanti con l’obiettivo di determinare i potenziali effetti dell’utilizzo del telefono cellulare sui parametri biologici caratterizzanti la fertilità maschile. Questo tipo di indagini partono dalla ipotesi che l’esposizione ai campi elettromagnetici a radiofrequenza generati dai telefoni mobili possa in qualche modo creare problemi a livello di corretto funzionamento biologico dell’apparato riproduttivo maschile. Questa tematica al momento rientra tra gli obiettivi primari di ricerca dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, unitamente agli effetti della esposizione su bambini, adolescenti e soggetti professionalmente esposti.


Nello specifico, sono stati esaminati 2110 volontari con età media pari a 31 anni che dal 1993 al 2007 sono stati in cura presso una clinica per l’infertilità per una serie disparata di problemi. Dai volontari sono stati esclusi i fumatori, i consumatori di alcool, e i pazienti affetti da patologie sistemiche o varicocele. I volontari sono stati poi suddivisi in due differenti gruppi in base all’utilizzo o meno del telefono cellulare: 991 utilizzatori (gruppo A) contro 1119 non utilizzatori (gruppo B). Le analisi sono state condotte esaminando sia numero e morfologia degli spermatozoi, sia i livelli nel sangue di alcuni ormoni quali il testosterone, l’ormone follicolo stimolante (FSH), l’ormone luteinizzante (LH) e la prolattina (PR).


Dalle analisi effettuate, sono state evidenziate alterazioni patologiche nella morfologia degli spermatozoi nel 68% dei volontari appartenenti al gruppo A, e nel 58% dei pazienti del gruppo B.

Inoltre la percentuale di spermatozoi con anomalie morfologiche è risultata maggiore nel gruppo degli utilizzatori rispetto ai non utilizzatori di telefono (45% contro 27%).


Per quanto riguarda la conta degli spermatozoi non sono invece state osservate differenze significative nei due gruppi.


Dalle analisi dei profili ormonali, sono state riscontrate differenze tra i due gruppi nei livelli di testosterone che tendevano ad essere significativamente più elevati negli utilizzatori di telefono cellulare ed LH, per il quale invece si è registrata la tendenza opposta, mentre i valori di FSH e PRL sono risultati simili.


I risultati ottenuti da questo studio hanno evidenziato una significativa riduzione della qualità spermatica negli utilizzatori di telefono cellulare, incluse alterazioni nella motilità e nella morfologia. Al contrario, l’esposizione alle radiofrequenze emesse dai cellulari sembra non avere effetti sulla conta spermatica totale, e ciò può costituire un indice del fatto che alcune funzioni testicolari rimangano inalterate in seguito all’esposizione.


Sebbene i meccanismi che stanno alla base di effetti queste variazioni non siano del tutto conosciuti,si può ipotizzare che ci sia un effetto specifico dovuto alla esposizione ai campi elettromagnetici, o che si tratti semplicemente dell’esito di un surriscaldamento locale, o della combinazione di entrambi.


Si può però ipotizzare che essi, sia direttamente che indirettamente, possano agire a livello dell’apparato riproduttivo maschile causando danni quali modifiche a livello della cromatina degli spermatozoi, alterazioni nella spermatogenesi e a livello di DNA spermatico.


Altre ipotesi speculative riguardano i livelli di stress che, come ampiamente dimostrato nella letteratura scientifica, possono inficiare la qualità spermatica e condurre alla infertilità maschile; è noto infatti che i soggetti utilizzatori di cellulare sono spesso sottoposti a livelli di stress superiori rispetto ai non utilizzatori, questo potrebbe a sua volta contribuire a tutte le anomalie fin qui descritte.


Tuttavia, ulteriori studi si rendono necessari allo scopo di ottenere risultati maggiormente conclusivi sull’argomento e a costruire eventualmente una curva dose detrimento che, in questo studio di carattere retrospettivo non è stato possibile ottenere.

Pubblicato su: Andrologia, Volume 43, 312-316, 2011


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Mobile Phone Use and Incidence of Glioma in the Nordic Countries 1979 - 2008. Consistency Check

Deltour, Isabelle; Auvinen, Anssi; Feychting, Maria; Johansen, Christoffer; Klaeboe, Lars; Sankila, Risto; Schüz, Joachim


Il glioma è un tumore maligno che può colpire, in vari modi, il sistema nervoso centrale; alcuni studi epidemiologici hanno messo in evidenza un aumento del rischio di insorgenza di questa patologia associato all’utilizzo del telefono cellulare.

I ricercatori hanno esaminato i registri dei tumori di Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, al fine di appurare se nel periodo 1979-2008 si fosse verificato un aumento in numero dei casi di glioma diagnosticati; tale aumento, potrebbe essere imputabile all’utilizzo dei telefoni cellulari, diffusosi in modo massiccio a partire soprattutto dalla fine anni ’90.

Sono stati analizzati, tramite metodi di regressione statistica e simulazioni numeriche effettuate partendo dall’ipotesi  di vari scenari di associazione positiva tra utilizzo del telefono cellulare ed insorgenza del tumore, 35.250 casi di glioma diagnosticati in pazienti, uomini e donne, di età compresa tra 20 e 79 anni.

Gli andamenti nel tempo non hanno messo in evidenza nessun incremento nei casi di glioma diagnosticati nel periodo 1979  - 2008, questo è valido sia per gli uomini, sia per le donne, sia se si considera la suddivisione in fasce d’età.

L’incidenza infatti è rimasta stabile sui 1175 casi medi all’anno, con un incremento, fisiologico,  nelle fasce di età più avanzata.

Una eventuale associazione tra utilizzo del telefono cellulare ed aumento dell’incidenza di glioma avrebbe dovuto tradursi in un aumento dei tassi di rilevanza per questa famiglia di tumori nel periodo oggetto di indagine, caratterizzato da un sempre più elevato utilizzo del telefono cellulare.

I risultati dell’indagine portata avanti invece si sono mostrati pienamente in linea con i risultati degli studi in cui non veniva riscontrata alcuna associazione.

La conclusione tratta dai ricercatori, sulla base di questo studio, è una conferma della non associazione già rilevata in altri studi epidemiologici precedenti. Questo potrebbe significare una assenza di associazione tra utilizzo del telefono cellulare ed incidenza di glioma, la presenza di bias legati soprattutto alla metodologia finora seguita negli studi epidemiologici che risente molto di eventuali distorsioni del ricordo soprattutto per quanto riguarda i tempi di utilizzo del terminale mobile, ed infine una possibilità che i tempi di latenza di questi tumori non siano ancora perfettamente noti e comunque superiori ai 10-12 anni.

Pubblicato su: Epidemiology, Volume 23, Numero 2, Marzo 2012


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Evaluation and characterization of fetal exposures to low frequency magnetic fields generated by laptop computers.

 


 Zoppetti N, Andreuccetti D, Bellieni C, Bogi A, Pinto I. 

 

Nell'ultimo decennio l'utilizzo dei computer portatili ha raggiunto una grande diffusione in tutto il mondo, sia negli ambienti lavorativi che nelle abitazioni private; grazie alla mancanza di una strumentazione fissa, il computer può essere spostato dalla postazione iniziale e questo può comportare un utilizzo errato in stretta vicinanza con il corpo.

 

 

Dal momento che i computer portatili ed i loro alimentatori costituiscono una fonte di campi elettromagnetici a bassa frequenza, l'attenzione di questo recente studio si pone principalmente sui potenziali rischi per le donne in gravidanza che utilizzano il portatile appoggiandolo al grembo.

I campi a 50 Hz emessi dai computer portatili e dai loro alimentatori sono caratterizzati da una componente magnetica che presenta forme d'onda non sinusoidali a carattere anche impulsivo.

Per valutare la densità di flusso magnetico i calcoli sono stati fatti non solo in termini di ampiezza del segnale, ma anche applicando il metodo del picco pesato introdotto dall'ICNIRP nel 2003 per la valutazione della esposizione in presenza di segnali con componenti non sinusoidali.

Nello studio, sono stati analizzati i campi emessi da 5 modelli differenti di computer portatile, e, per il modello caratterizzato dall'emissione più elevata, è stata portata avanti un'analisi numerica maggiormente approfondita, attraverso l'utilizzo di metodi matematici per il calcolo della densità di corrente e del campo elettrico in situ su modello di donna in gravidanza e feto.

Le correnti indotte e le quantità fisiche e dosimetriche rilevanti sono state valutate, utilizzando un modello che prevede condizioni di campo quasi statico, attraverso un metodo sviluppato all'uopo dagli autori che viene presentato in modo dettagliato nell'articolo.

 

Pubblicato su: Prog Biophys Mol Biol. il 15 ottobre 2011


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