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Intervista al Prof. Paolo Crivellari - Docente e ricercatore in sociologia presso Université Paul Sabatier Toulouse III

 

Lei ha più volte citato il doppio primato italiano. Ci può spiegare sinteticamente in cosa consiste?

 

Ho proposto di chiamare “doppio primato italiano” nella regolazione del rischio da campi elettromagnetici la combinazione simultanea di due fattori. In primo luogo, una regolazione emanata precocemente rispetto agli altri paesi europei. Il decreto n. 381 fu emanato nel 1998, lo stesso anno della pubblicazione delle linee-guida dell’International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection - ICNIRP, organismo di riferimento internazionale in materia di radiazioni non ionizzanti. L’Italia anticipò inoltre la raccomandazione dell’Unione Europea n. 519 del 1999, relativa alla limitazione dell’esposizione del pubblico ai campi elettromagnetici e si mise così in una posizione che non aveva eguali negli altri Stati membri. Il secondo primato della regolazione italiana riguarda le soglie di esposizione ai campi elettromagnetici delle SRB. Le soglie di 6 volt per metro, fissate per gli edifici dove si trascorrono in media almeno quattro ore al giorno (abitazioni, scuole, ospedali, luoghi di lavoro) erano infatti le più basse in Europa (e tra le più basse al mondo). L’Italia si smarcò dall’ICNIRP, che proponeva di adottare soglie più alte, ma anche dall’Unione Europea, poiché la raccomandazione n. 519 suggeriva di adottare le soglie delle linee-guida dell’ICNIRP. Per una ricostruzione sociologica della genesi del doppio primato italiano mi permetto di rinviare ad un mio articolo[1] .

 

I limiti italiani sono molto più cautelativi rispetto a quelli applicati in europa e nel resto del mondo. A suo parere, una revisione dei limiti, con innalzamento ai valori indicati dall’ICNIRP che difficoltà può comportare nel rapporto con il pubblico?

 

É difficile prevedere la reazione del pubblico in un caso come questo. Svariati comitati hanno già chiesto diverse volte in passato una revisione dei limiti, ma verso il basso. Si puo’ ipotizzare che un innalzamento delle soglie in vigore in Italia potrebbe essere percepito come non necessario da una fetta di cittadini, i quali potrebbero non capire le esigenze di rivedere dopo molti anni al rialzo i limiti per allinearli a quelli raccomandati da un istituto internazionale. Inoltre, le ricerche che ho condotto sul caso italiano mettono in evidenza che le mobilitazioni non si riferiscono esclusivamente a questioni di tipo scientifico o tecnico, ma riguardano contestazioni di portata più generale, che hanno spesso poco o nulla a che fare con le cifre o i parametri. E’ il caso, tipicamente, di quei comitati di cittadini che si oppongono a quella che percepiscono come mancanza di informazione, di comunicazione con l’amministrazione locale, di arene partecipative, di metodo decisionale inclusivo su decisioni che li riguardano ecc.

 

Sui giornali sono apparse notizie riguardanti una certa preoccupazione in Francia per gli effetti dei campi elettromagnetici. Com’è la situazione la? Quali sono le differenze rispetto allo scenario italiano?

 

La situazione francese riguardo agli effetti dei campi elettromagnetici presenta similitudini e differenze rispetto al caso italiano. Come in Italia, anche in Francia molti comitati urbani di cittadini si sono formati tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, per manifestare contro le stazioni radio base e il rischio sanitario che potrebbe derivare dalle emissioni elettromagnetiche. Due caratteristiche rendono il caso francese diverso da quello italiano. La protesta oltralpe è stata veicolata, oltre che da comitati urbani, anche da numerose associazioni a livello nazionale, che hanno saputo centralizzare efficacemente le richieste dei cittadini formulate a livello locale. In secondo luogo il sistema istituzionale francese, di tipo centralizzato, ha limitato di fatto il numero di contenziosi tra Stato e livelli intermedi (soprattutto Regioni e Comuni) che invece hanno caratterizzato il nostro paese.

 

Una delle cause più significative della distorta percezione del rischio è la diffusione di informazioni erronee e spesso non supportate da dati scientifici. Secondo lei qual è il modo più corretto per fare comunicazione riguardo agli effetti dei campi elettromagnetici?

 

La percezione sociale del rischio deriva da una molteplicità di fattori sociali. La diffusione di informazioni corrette, anche se supportate da dati scientifici puo’ non essere sufficiente per una percezione corretta del rischio, che rimane comunque difficile da definire con precisione. Per un’adeguata comunicazione sui campi elettromagnetici, valgono alcune considerazioni che riguardano la comunicazione in generale. Bisogna chiedersi prima di tutto qual è la finalità della comunicazione (diminuire le tensioni sociali, generare fiducia nell’organismo che inizia ed è responsabile del processo comunicativo, pervenire a decisioni condivise ecc.) e qual è il pubblico a cui ci si rivolge (cittadini, istituzioni, organizzazioni ecc). In generale, in tematiche riguardanti la regolazione del rischio sanitario, una comunicazione a monte e di tipo multilaterale è da preferirsi ad una comunicazione unilaterale ex post, se si vuole evitare che i cittadini si sentano esclusi e messi davanti al fatto compiuto.

 

I processi partecipati rappresentano veramente una risposta alla percezione del rischio e sono un valido supporto per gli Amministratori nella gestione del rapporto con la cittadinanza riguardo alla questione campi elettromagnetici? Come deve essere condotto un processo partecipato per essere efficace e non fungere da amplificatore del rischio?

 

I tipi di processi partecipati sono innumerevoli. Alcuni di questi permettono di diminuire gli svantaggi della comunicazione unilaterale di tipo emittente-ricevente, poiché sono per loro natura multilaterali. Esperienze condotte in vari paesi hanno mostrato che alcuni dei processi partecipati possono essere indubbiamente un valido supporto per gli Amministratori, sotto alcune condizioni. In primo luogo il frame, cioè l’inquadramento generale, dev’essere chiaro a tutti i partecipanti. In secondo luogo, devono essere esplicitate le regole del gioco e si deve precisare chi è l’arbitro. In terzo luogo, dev’essere chiaro chi può partecipare e chi no e a quale scopo. Regole semplici e condivise permettono di limitare gli svantaggi tipici di molti processi partecipati come, per esempio: strategie di opt-out (sottrarsi alla partecipazione dopo aver accettato le regole senza incorrere in sanzioni e penalizzando l’esito finale), lunghezza eccessiva del processo, ecc. In Italia, alcuni fattori dissuadono tradizionalmente i decisori dall’optare per processi partecipati. In primo luogo, la mancanza di una normativa che renda sistematica la partecipazione del pubblico e definisca le regole che dovrebbero essere seguite. In secondo luogo, la presenza di alcuni comitati che richiedono unicamente lo spostamento immediato di stazioni radio base esistenti in un certo perimetro senza che sia proposta una riflessione di più ampia portata. Gli amministratori locali sono spesso scoraggiati dalla mancanza di un quadro chiaro di riferimento e non intraprendono la via dei processi partecipati, giudicata dicrezionale, dispendiosa e aleatoria.

 

La protesta in Italia perdura da oltre 15 anni, come si spiega una durata così lunga del fenomeno? E come spiega il fatto che i cittadini protestano ad ogni installazione di stazioni radio base ma utilizzano massicciamente il cellulare?

 

La protesta in Italia riguardo al rischio da emissioni elettromagnetiche da stazioni radio base dura da molto tempo, alternando picchi acuti a periodi di scarsa mobilitazione. Si è registrata in modo particolare una fase molto acuta nei primi anni 2000, in relazione alle numerose installazioni per la telefonia di terza generazione e dopo l’emanazione del decreto Gasparri. Non è corretto affermare che i cittadini protestano contro tutte le installazione di stazioni radio base, che sono infatti estremamente più numerose dei conflitti locali nati intorno ad esse. Del resto, i sociologi che si occupano dei cicli della protesta dei movimenti sociali spiegano che, di norma, la mobilitazione dei cittadini non dura indefinitamente, poiché le risorse dei comitati e delle associazioni sono limitate ed è molto difficile mantenere constantemente elevato il livello di guardia su uno stesso problema.

In effetti si registrano opposizioni locali alle stazioni radio base, mentre invece non vi sono manifestazioni contro l’uso del telefono cellulare. Spesso, i cittadini che protestano contro l’installazione di un’antenna possiedono un telefono cellulare. Si tratta di un paradosso solo in apparenza. Infatti, i cittadini che si mobilitano non si oppongono alla tecnologia della telefonia mobile tout court, ma contestano che le installazioni siano effettuate in prossimità delle abitazioni, o delle scuole, oppure avvengano con modalità giudicate poco trasparenti o non partecipate. Si può aggiungere che alcune ricerche di psicologia sociale hanno mostrato che avere un telefono cellulare e protestare contro le installazioni non è un comportamento di per sé irrazionale, poiché gli individui hanno delle ragioni che li rendono più inclini a valutare meno pericoloso un rischio dovuto ad un’attività percepita come scelta personale (utilizzare il telefonino) rispetto ad un rischio percepito come imposto da altri (installazione di stazione radio base).



Paolo Crivellari (2012), “La regolazione del rischio sanitario dovuto alle emissioni elettromagnetiche delle antenne per la telefonia mobile. Genesi di un doppio primato italiano”, Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, 3.

 

 


 

Paolo Crivellari è docente di sociologia e ricercatore nell'ambito della sociologia del rischio presso l'Université Paul Sabatier Toulouse III. La sua attività di ricerca riguarda la percezione del rischio da parte della popolazione per l'esposizione a campi elettromagnetici generati da apparati per telefonia mobile, comprese le dinamiche che portano alla mobilitazione dei cittadini e alla creazione di comitati anti elettrosmog. Della sua attività di ricerca fa parte anche lo studio da un punto di vista sociologico delle regolamentazioni in materia di campi elettromagnetici ed uno studio comparato tra vari paesi (tra cui Italia e Francia) per quanto riguarda la gestione dei rischio industriale da agenti chmici.

Si occupa anche di percezione e gestione del rischio per quanto riguarda l'utilizzo delle nano tecnologie.

É autore di numerosi articoli e monografie sul tema di ricerca.

Ulteriori informazioni sulla sua attività di ricerca e sulle sue pubblicazioni sono disponibili sul sito dell'Università di Tolosa

 

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