Effetti cardiovascolari dei campi a bassa frequenza

 

Esiste una buona base di evidenze sperimentali che i sistemi viventi rispondono alle correnti indotte generate dalla interazione tra tessuto biologico e campi elettrici e magnetici a bassa frequenza. Tali correnti possono anche risultare superiori alle correnti endogene, tuttavia se la densità di corrente indotta rimane inferiore ai 10 mA/m2 non si hanno effetti biologici significativi.

Al disopra di 100 mA/m2, per frequenze comprese tra 3 e 300 Hz, vengono superate varie soglie di stimolazione delle cellule e dei tessuti muscolari e nervosi (che sono elettricamente eccitabili) e possono verificarsi rischi per la salute.

Al disopra di 1 A/m2, si può avere un effetto di fibrillazione ventricolare, la cui probabilità aumenta sia con la durata della esposizione che con il valore della densità di corrente. L'effetto può anche essere istantaneo. In ogni caso, a questi livelli di densità di corrente i rischi per la salute sono accertati.

 

Ai fini di una analisi completa degli effetti dei campi a bassa frequenza a livello cardiovascolare occorre distinguere gli effetti acuti da quelli a lungo termine, o cronici.

 

È noto che il passaggio di una corrente attraverso il corpo è in grado di causare danni a livello cardiovascolare, come accade per la scossa elettrica. In genere la scossa elettrica si verifica per contatto diretto del corpo con il conduttore, tuttavia anche campi elettrici o magnetici molto forti possono causare lo stesso effetto che, come anticipato nel paragrafo precedente, può avere come estrema conseguenza la fibrillazione ventricolare.

 

Tra gli effetti acuti che possono verificarsi per campi di intensità molto minori di quelli sopra descritti, sono state studiate soprattutto le variazioni a livello di tracciato elettrocardiografico , di frequenza cardiaca e di pressione sanguigna.

 

Gli studi sulla eventuale correlazione tra esposizione a campi a bassa frequenza e variazioni nel tracciato elettrocardiografico sono cominciati all'inizio degli anni '80 su persone esposte per ragioni professionali o per residenzialità. Alcuni esperimenti hanno messo in evidenza una diminuzione della frequenza del battito cardiaco ed un aumento del tempo trascorso tra un battito e l'altro in seguito ad esposizione a campi a 50 – 60 Hz con intensità della componente elettrica attorno ai 9 kV/m e attorno ai 20 μT per la componente magnetica. Gli effetti trovati sono risultati comunque di lieve entità e sicuramente non sono indicatori affidabili di un effetto acuto a livello cardiaco e non sono stati replicati da altri esperimenti condotti con esposizioni della stessa entità.

 

In uno studio tra i più recenti, gruppi di volontari sono stati esposti a campi magnetici con induzione elevata (123 μT), sia continui che intermittenti; non sono state riscontrate alterazioni a livello di battito cardiaco per nessuna delle due condizioni espositive sopra descritte. A monte dell'analisi dei risultati dei lavori effettuati in precedenza e di quanto trovato, i ricercatori hanno concluso che per campi magnetici di intensità inferiore a 123 μT una stimolazione diretta del muscolo cardiaco per effetto della esposizione è da considerarsi estremamente improbabile.

 

Nessuna variazione a livello di pressione sanguigna è stata riscontrata per esposizione a campi elettrici e magnetici a bassa frequenza.

 

Studi sugli effetti a lungo termine causati sul sistema cardiovascolare da una esposizione cronica a campi elettrici e magnetici a bassa frequenza sono stati portati avanti su personale esposto per ragioni professionali ai campi prodotti dalle linee ad alta tensione. Questi studi erano finalizzati ad indagare sui seguenti aspetti: 1) malattie cardiache in generale, 2) aumenti della mortalità in soggetti con infarto del miocardio pregresso, 3) rischio di morte per patologia cardiovascolare.

 

Oltre a questi tre importanti aspetti si è indagato sulla possibilità che l'esposizione a campi elettrici e magnetici a bassa frequenza possa portare ad un aumento del rischio di aritmie ed infarto miocardico acuto invece che a patologie croniche del sistema cardiovascolare.

 

Si tratta per lo più di studi di coorte (dove per coorte si intende gruppi di professionalmente esposti) effettuati a posteriori sulla base dei referti di certificati di morte, o di interventi chirurgici di installazione di pace maker che risentono di bias specifici, di incertezze e di elevata imprecisione nel calcolo dosimetrico.

Uno studio a largo spettro è stato condotto nel 2004 al fine di investigare il rischio di infarto miocardico in associazione con l'esposizione a vari agenti fisici e chimici tra i quali i campi a bassa frequenza. L'esposizione è stata calcolata sulla base della mansione lavorativa, tenendo conto però anche di potenziali fattori di confondimento quali la tendenza all'ipertensione, il livello di colesterolo nel sangue, lo stato socio economico e l'abitudine al fumo.

I risultati di questo studio non hanno evidenziato alcuna associazione tra esposizione a campi a bassa frequenza e rischio di infarto miocardico acuto.

Un altro studio di coorte da ricordare ha investigato sull'eventuale associazione tra esposizione a campi a bassa frequenza e alterazioni a livello cardiaco partendo da una coorte costituita da coppie di gemelli.

 

Dalle analisi condotte in questo studio alcuni soggetti, appartenenti a una coppia di gemelli, sono risultati essere geneticamente predisposti al rischio di infarto miocardico acuto; il discorso vale prevalentemente per le coppie omozigote nelle quali uno dei due fratelli sia stato precedentemente colpito da infarto. In questi casi specifici, il fratello non colpito da infarto risulta essere più suscettibile alla patologia con conseguente maggior probabilità di sviluppo della malattia nel caso sussistesse una associazione tra esposizione ed insorgenza.

 

Infine un ultimo studio è stato effettuato considerando le esposizioni accumulate in attività giornaliere nell'arco di 5 anni indagando 4 categorie di patologie miocardiche che possono portare alla morte quali: aritmia, infarto acuto, arteriosclerosi e patologie coronariche croniche e sub-croniche, tenendo inoltre conto di fattori specifici quali età, sesso, anno di inizio del lavoro e stato socioeconomico.

Lo studio ha mostrato unicamente un lieve aumento del rischio di morte conseguente ad aritmia, tuttavia le stime ottenute sono comunque basate su numeri molto piccoli e di conseguenza non risultano essere statisticamente significative.

 

Conclusioni

 

Dagli studi condotti finora si evince che ai livelli di esposizione normalmente incontrati negli ambienti lavorativi o privati non esiste una associazione tra campi a bassa frequenza e insorgenza di patologie a livello di sistema cardiovascolare. Anche se alcuni studi riportano varie modificazioni in parametri quali frequenza cardiaca e aumento del tempo trascorso tra un battito e l'altro, gli effetti sono comunque minimi e statisticamente non significativi per cui si può affermare che in generale i risultati degli studi condotti non portano alla ipotesi di associazione.

 

Bibliografia

 

[1] Ahlbom A et al. (2004). Occupational magnetic field exposure and myocardial infarction incidence. Epidemiology, 15(4):403-408.

 

[2] Graham C et al. (2000e). Exposure to strong ELF magnetic fields does not alter cardiac autonomic control mechanisms. Bioelectromagnetics, 21(3):413-421.

 

[3] Håkansson N et al. (2003). Neurodegenerative diseases in welders and other workers exposed to high levels of magnetic fields. Epidemiology, 14(4):420-426.

 

[4] Sorahan T, Nichols L (2004). Mortality from cardiovascular disease in relation to magnetic field exposure: findings from a study of UK electricity generation and transmission workers, 1973- 1997. Am J Ind Med, 45(1):93-102.

 

[5] United Nations Environment Programme/World Health Organization/International Radiation Protection Association, Magnetic Fields, LXIX, Environmental Health Criteria, Ginevra, WHO, 1987

 

Glossario

 

Corrente endogena: correnti, in genere inferiori a 1 mA/m2, che fluiscono naturalmente nei tessuti e nei fluidi extracellulari

 

Infarto miocardico: necrosi di una porzione di tessuto cardiaco in conseguenza dell'arresto del flusso sanguigno arterioso in seguito per lo più ad occlusione dell'arteria. La necrosi è di fatto la morte del tessuto cellulare dell'organo interessato dall'infarto o di una parte di esso. L'infarto miocardico in genere provoca danni permanenti a carico della qualità del tessuto del cuore.