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Effetti dei campi a bassa frequenza sulle funzioni cellulari


La crescita, la proliferazione e la differenziazione delle singole cellule sono processi finemente regolati per rispondere alle necessità specifiche dell'organismo nel suo complesso. In maniera del tutto occasionale, tuttavia, può accadere che i raffinati controlli che regolano questi processi vengano meno portando la cellula a crescere e a dividersi in maniera incontrollata. Quando le discendenti di quella cellula ereditano la capacità di proliferare in maniera svincolata da qualsiasi meccanismo di regolazione, il risultato è la comparsa di un clone della cellula capace di replicarsi indefinitamente, arrivando a diffondersi in tutto il corpo e interferendo con le funzioni di organi e tessuti sani.

In condizioni fisiologiche, il ciclo cellulare viene suddiviso in quattro fasi principali: G1, che precede l'inizio della sintesi del DNA; S, in cui avviene la sintesi del DNA; G2 , che intercorre tra la duplicazione del DNA e la divisione nucleare; M, in cui avviene la mitosi, durante la quale il corredo cromosomico si distribuisce nelle due cellule figlie. La progressione da uno stadio ad un altro del ciclo cellulare è controllata da un apparato di regolazione attraverso l'interpretazione di segnali specifici codificati per ogni singola fase, in questo modo avviene non solo la regolazione del ciclo cellulare, ma anche il collegamento di quest'ultimo ai segnali extracellulari che controllano la proliferazione.

 

Gli effetti degli agenti chimici o fisici sulle funzioni cellulari vengono studiati attraverso l'osservazione in vitro; numerosi studi sono stati effettuati su colture negli ultimi 30 anni con lo scopo di indagare non soltanto gli effetti dovuti alla esposizione ai campi a bassa frequenza, ma anche di individuare i meccanismi di interazione che potrebbero essere alla base di una eventuale associazione tra esposizione e alterazioni quali differenziamento, proliferazione e apoptosi.

 

Allo scopo di valutare eventuali effetti della esposizione sui processi di proliferazione e differenziazione, recentemente è stato condotto uno studio in cui cellule di neuroblastoma umano sono state esposte per 7 giorni alla componente magnetica di un campo a 50 Hz con intensità pari a

di 1 mT; 24 ore dopo l'esposizione è stato osservato un aumento del 10% sulla proliferazione cellulare, anche se l'effetto è risultato transiente; il picco si è infatti verificato dopo 20 ore, seguito da una diminuzione progressiva fino all'annullamento.

Di contro, uno studio successivo condotto esponendo cheratinociti per 15 giorni a un campo a 50 Hz con induzione magnetica pari a 2 mT mT ha evidenziato alcune variazioni nella forma esterna della cellula e nella sua morfologia interna, unitamente ad un calo nell'espressione dei recettori per i fattori di crescita epidermici. Questi effetti erano inoltre associati ad una diminuzione della capacità proliferativa e della crescita cellulare.

 

Altri studi in vitro hanno invece avuto come obiettivo primario la valutazione degli eventuali effetti della esposizione a campi ELF sul processo di apoptosi, e tra questi uno in particolare ha studiato l'espressione di specifiche proteine che intervengono nel processo apoptotico (p21, bax e bcl-2) in cellule tumorali di mammella esposte ad un campo a bassa frequenza di 60 Hz per 24 o 72 ore; l'esposizione è stata effettuata sia in presenza che in assenza di raggi X, le cui proprietà cancerogeniche sono ben note.

In presenza del solo campo magnetico non è stata osservata alcuna induzione dell'apoptosi né un aumento dell'espressione delle proteine apoptotiche bax e bcl-2; di contro, in presenza di raggi X, 24 ore dopo l'esposizione è stata invece osservata una significativa diminuzione dell'apoptosi e dell'espressione di bax, mentre l'espressione di bcl-2 è aumentata.

 

Un altro studio riguardante gli effetti dei campi ELF sul processo di apoptosi è stato condotto nel 2003 esponendo cellule tumorali a campi magnetici pulsati con frequenza pari a 50 Hz (con valori di induzione magnetica rispettivamente pari a 10, 39 e 50 mT) per un periodo di tempo compreso tra 20 minuti e 6 ore; l'esperimento è stato portato avanti con lo scopo di verificare gli effetti a livello di apoptosi dei campi magnetici a bassa frequenza considerati come fattore unico o in sinergia con altri agenti quali radiazioni ottiche o sostanze pro apoptotiche.

 

L'esposizione infatti è stata effettuata sia in presenza che in assenza dell'agente pro-apoptotico actinomicina, sia in presenza che in assenza di radiazioni ottiche, responsabili della formazione di radicali liberi a partire dall'actinomicina.

 

I ricercatori hanno quindi monitorato il numero di cellule morte per apoptosi ed hanno osservato che

i campi magnetici pulsati provocano un aumento del rateo di morte cellulare; l'effetto si verifica immediatamente dopo l'esposizione con un incremento del 50% di morti cellulari osservate per aumentare fino ad arrivare ad un 80-90% di morti cellulari nelle 24 ore successive. L'effetto pro-apoptotico del campo magnetico, che è risultato massimo in presenza di actinomicina o di actinomicina combinata a radiazione ottica, viene inoltre aumentato da condizioni di ipertermia (42°C) e di aumento dell'acidità (pH = 6.5).

 

Gli effetti dei campi a bassa frequenza sulle funzioni cellulari sono stati studiati anche valutando la produzione di radicali liberi, specie reattive dell'ossigeno (ROS) il cui livello cresce a dismisura in presenza di fattori esterni specifici quali età, esposizione a raggi ultravioletti (UV) e altre forme di stress esterno o fisiologico. La loro presenza in elevate quantità può spesso significare danno a livello cellulare e la situazione in questo caso viene definita di stress ossidativo, una condizione che può essere alla base di un'azione di induzione e promozione della cancerogenesi.

 

Le indagini in vitro sulla eventuale associazione tra esposizione a campi ELF e alterazioni nella produzione di ROS sono state condotte da alcuni gruppi di ricercatori; uno in particolare ha portato avanti l'indagine esponendo macrofagi e precursori dei monociti a campi ELF di intensità pari a 1 mT in combinazione con l'estere del forbolo (12-O-tetradecanoilforbolo-13-acetato - TPA), un noto agente cancerogeno. In seguito all'esposizione è stato riscontrato un aumento nella produzione di specie reattive dell'ossigeno, contrastato dalla presenza di TPA; l'aggiunta di DPI (diphenyleneiodonium) un inibitore selettivo della NADPH-ossidasi, l'enzima implicato nella produzione di anione superossido a partire da ossigeno e NADPH, non ha invece sortito il medesimo, atteso, effetto. Il fatto che l'aggiunta di DPI non abbia avuto effetti sulla produzione di radicali liberi potrebbe significare che il meccanismo molecolare attraverso il quale i campi magnetici interagiscono con le cellule, favorendo la formazione di ROS è NADPH-ossidasi indipendente.

 

Sulla base delle evidenze sperimentali descritte, i ricercatori hanno quindi ipotizzato che l'esposizione al campo elettromagnetico a bassa frequenza, in particolare la componente magnetica, potrebbe essere responsabile dell'attivazione di alcuni specifici meccanismi cellulari tra cui la fagocitosi, un processo che induce il rilascio di radicali liberi.

Secondo questa ipotesi, gli effetti della esposizione potrebbero essersi verificati secondo tre differenti modalità:

 

  •  attivazione diretta del processo di fagocitosi con conseguente aumento della produzione di radicali liberi;

 

  • stimolazione diretta di altre cellule deputate alla produzione di radicali liberi;

 

  • aumento della durata della vita media dei radicali liberi, che porta ad un aumento di concentrazione, con conseguente inibizione degli effetti della melatonina.

 

Queste ipotesi non sono state ancora dimostrate e sono perciò oggetto di indagine delle attuali ricerche.

 

Un ultimo argomento trattato in relazione ai potenziali effetti dei campi ELF sulle funzioni cellulari, ha riguardato le gap junctions, giunzioni intercellulari che mettono in comunicazione tra loro le diverse cellule appartenenti ad uno stesso tessuto.

Le gap junctions costituiscono perciò un passaggio aperto attraverso cui gli ioni e le piccole molecole possono muoversi direttamente da una cellula all'altra, senza contatti con l'ambiente extracellulare. Funzionalmente sono direttamente coinvolte in molteplici processi come lo scambio di materiali nutritivi, la regolazione cellulare, la conduzione degli impulsi elettrici, l'integrazione delle attività cellulari all'interno di diversi organi.

 

Modello di gap junction

 

Strutturalmente, ogni gap junction è costituita dalla presenza di due semicanali, definiti connessoni, localizzati tra due cellule adiacenti; ciascun connessone è formato da sei molecole di una specifica proteina, la conessina, leggermente avvolte l'una con l'altra.

La perdita di funzione delle gap junctions o l'inibizione dell'espressione della conessina sono spesso associate con l'insorgenza di patologie neoplastiche; infatti, una delle principali proprietà dei promotori della cancerogenesi, come il TPA (estere del forbolo) è proprio la capacità di inibire la funzionalità delle gap junctions.

 

Alcuni studi sui potenziali effetti dei campi ELF in combinazione con somministrazione di estere del forbolo a carico delle giunzioni comunicanti hanno riscontrato una ulteriore perdita di funzionalità in gap junctions già inibite con agente chimico TPA in diverse tipologie cellulari esposte per 24 ore a campi magnetici con intensità fino a 1.6 mT.

Tuttavia, successivi tentativi di replica non hanno riscontrato alcuna ulteriore perdita di funzionalità in gap junctions già inibite con TPA.

 

Conclusioni

 

Dai risultati finora ottenuti si può concludere che gli studi in vitro riguardanti i potenziali effetti dei campi a bassa frequenza sulle varie funzioni cellulari, quali proliferazione, apoptosi, produzione di radicali liberi ed inibizione delle gap junction, hanno fornito prove poco conclusive o comunque non sufficienti a premettere di elaborare ipotesi definitive sull'argomento. Ulteriori studi e approfondimenti si rendono perciò necessari.

 

Bibliografia

 

[1] Blackman CF et al. (1998). Double blind test of magnetic field effects on neurite outgrowth. Bioelectromagnetics, 19(4):204-209.

 

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[3] Griffin GD et al. (2000). Power frequency magnetic field exposure and gap junctional communication in Clone 9 cells. Bioelectrochem, 51(2):117-123.

[4] Li CM et al. (1999). Effects of 50 Hz magnetic fields on gap junctional intercellular communication. Bioelectromagnetics, 20(5):290-294.

 

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Glossario

 

Actinomicina: potente antibiotico che oltre ad agire sui batteri agisce sulle cellule bloccando la sintesi proteica e la divisione.

Sembra possedere notevole azione contro lo sviluppo di cellule tumorali specie quelle di origine linfatica.

 

Anione superossido: radicale libero prodotto in grandi quantità ed in grado di reagire con il perossido di idrogeno dando origine al radicale ossidrile OH•

 

bax: proteina pro-apoptotica citosolica che, in risposta a specifici segnali apoptotici, va incontro ad una serie di modificazioni conformazionali che la portano ad inserirsi nella membrana mitocondriale esterna. A questo livello, bax induce l'apertura dei canali voltaggio-dipendenti della membrana permettendo il successivo rilascio del citocromo c e di altri fattori pro-apoptotici dai mitocondri. Questo porta alla successiva attivazione delle caspasi dando cosi inizio al processo apoptotico.

 

bcl-2: proteina anti-apoptotica la cui overespressione può portare allo sviluppo di diverse patologie neoplastiche tra cui melanoma, tumori al seno, alla prostata ed ai polmoni. Si ritiene inoltre che sia coinvolta nella resistenza ad alcuni trattamenti anti-tumorali convenzionali.

 

cheratinociti: tipologia cellulare presente nell'epidermide con funzione protettiva da aggressioni di organismi patogeni, calore, radiazioni ultraviolette.

 

Estere del forbolo (12-O-tetradecanoilforbolo-13-acetato TPA): Derivato esterificato del forbolo. Gli esteri del forbolo agiscono da promotori della trasformazione cellulare neoplastica.

 

Fagocitosi: processo con cui le cellule incorporano materiale inglobandolo all'interno di un vacuolo (fagosoma) nel citoplasma.

 

fattori di crescita epidermici: proteine capaci di stimolare la proliferazione ed il differenziamento cellulare che agiscono legandosi con alta affinità al recettore del fattore di crescita dell'epidermide (EGFR) sulla membrana cellulare stimolandone l'attività. Questo innesca una cascata di trasduzione del segnale che porta una serie di cambiamenti biochimici nella cellula quali: un aumento nei livelli di calcio intracellulari, un incremento nella glicolisi e nella sintesi proteica che, uniti ad un aumento dell'espressione di alcuni geni, tra cui il gene che codifica per EGFR, conduce infine alla replicazione del DNA e quindi alla proliferazione cellulare. È presente in piastrine, macrofagi, urina, saliva, latte, plasma

 

NADPH: nicotinammide adenina dinucleotide fosfato è un coenzima ossido riduttivo che viene utilizzato nei processi anabolici in particolare nelle reazioni di biosintesi di lipidi ed acidi nucleici.

 

Neuroblastoma: patologia della linea simpatico-surrenale della cresta neurale che fa si che ovunque si trovi il sistema nervoso simpatico si possano sviluppare tumori. La maggior parte dei tumori primitivi ha sede nell'addome, metà dei quali a carico della midollare surrenale. Altre sedi comuni della malattia comprendono il collo, il torace e la pelvi. Rappresenta uno dei tumori più frequenti in età pediatrica.

 

p21: proteina che regola la progressione del ciclo cellulare nel passaggio tra le fasi G1 ed S. L'espressione della p21 è strettamente controllata dall'oncosoppressore p53 che, in risposta a particolari condizioni di stress può portare al blocco del ciclo cellulare in fase G1 per consentire la riparazione o l'eliminazione della cellula danneggiata. La funzione svolta da p21 è quindi fondamentale anche per prevenire la trasformazione di una cellula che ha subito un danno genetico in cellula tumorale.

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